CUB - Immagni da Cayo Largo

Cuba  22/04/04 Testo e foto di Beppe Saglia
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Perché “Immagini da Cayo Largo”? Perché ritengo che lo scorrere delle immagini piuttosto che fiumi di parole contribuisca a descriverlo meglio. Quindi precedenza alle foto con qualche didascalia e qualche informazione pratica, utile solo a chi si avvicina ai Caraibi per la prima volta.

 Qualche informazione
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Con chi andare

Primo presupposto per divertirsi è andare in vacanza con una compagnia divertente. E qui giochiamo in casa. Da sinistra a destra Umberto, Roger, Flavio Harley, Agostino, Raf, Mirko, Paola, King Peppe, Beppe S., Piero il Cormorano e principe di Cupra.
Quando andare

Il periodo migliore per pescare le flats va da marzo a maggio, ma non sono da escludere i due mesi prima e i due mesi dopo, condizionati però dal freddo e dal caldo eccessivo.
Il rischio sempre latente è quello delle condizioni meteorologiche che costituiscono una spada di Damocle sulla testa di chi ha prenotato con un anno di anticipo.
Il nemico numero uno è il vento, che impedisce di uscire in mare aperto, e rende praticamente impossibile l’avvistamento dei pesci.

Perché Cayo Largo

Cuba offre svariate possibilità di pesca, per ogni tasca e per ogni esigenza. Cayo Largo è una delle destinazioni più note perché offre dei vantaggi inconfutabili. Ci si arriva comodamente in aereo con volo diretto da Milano Malpensa (circa 11 ore), ed espletate le purtroppo complicatissime e lunghe formalità doganali, si trova sistemazione a pochi minuti dall’aeroporto, in un confortevole Residence (Eden Village). Belle camere in villette sul mare, piscine, bar, animazione discreta, pizzeria, formula all inclusive, che a noi han già detto che non rinnoveranno più, visto il danno causato in Mojti e Ron Collins. Le eventuali compagne ed i figli liberi di godere mare e sole e buona compagnia. Il costo della formula Planet per viaggio + residence è intorno ai 1150€.
Gli svantaggi sono essenzialmente insiti nei costi della pesca, secondo me, decisamente elevati. Casa Batita, che detiene i diritti di pesca, pretende 265$ al giorno a persona per portarti a spasso nelle sua vasta area riservata. E propone un pacchetto aggiuntivo, denominato camp fee a 350$ a testa la settimana, che dopo averlo sperimentato, vi sconsiglio decisamente di accettare, sempre che sia possibile farlo! Si tratta di mance alla guide (che alla fine si pagano comunque), di un qualcosa da mettere sotto i denti all’arrivo dalla pesca, inutile, in quando c’è la pizzeria del residence gratuita e ottima a cinque minuti, e di una cena tipica cubana, l’unica cosa non male.

 L’attrezzatura

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Come attrezzatura base ho usato Shimano Biocraft 9 # 8 con il mulinello Ultegra 7/8, un binomio assolutamente affidabile. Per contratto non posso che parlare bene della Shimano ;-), ma il giudizio è obiettivo. La canna, rapida ma piacevole, ha a mio avviso potenza addirittura superiore al numero per cui è tarata, consentendo in caso di necessità di lanciare anche code sino alla 10.
Il mulinello, che non ha dato segni di sofferenza alla salsedine ha frizione affidabile e molto progressiva. Non essendo un large arbour impone in certe condizioni (pesce che ti punta) un recupero un troppo veloce.
La composizione ottimale del parco canne su una barca è a mio avviso il seguente:

  • Due canne 9#8, finale conico, punta 0,28 con mosche da bonefish (li ciascuno usa la sua)
  • Una canna 9#10 finale conico, punta 0,35 con il crab e tanto backing per l’eventuale palometa.
  • Una canna 9# 12 finale 0,80/0,50/0,80 e mosca da tarpon
  • Una canna 9# 10/12 finale con punta in cavetto metallico con il popper
  • Una canna 9# 10/12 intermedia, finale con punta in cavetto e sardina di generose dimensioni.


A disposizione qualora servisse per acque profonde una shooting taper 400grains.

Le code ovviamente tutte WF possibilmente long belly ed in colori neutri. Finali in fluorcarboon (Orvis). Connessioni loop to loop con calza da 50 lb.
Sulle mosche, premesso che settimane di lavoro sono state vanificate da uno sguardo poco compiacente della guida, ho usato sempre pochi e collaudati modelli.
Crazy Charlie perlescenti su amo 6 con ciuffetto tan o rosa e qualche fibra di cristal con occhi leggeri tipo catenella da cesso. Stu apte per tarpon, scure, con preferenza ad una con ali grizzly tinte brown.
Sui popper le delusioni maggiori. Quelli snodati non hanno dato i risultati attesi.
La mosca della foto, costruita da Harley, pur essendo di dimensioni generose è stata una vera sorpresa verso i bonefish più diffidenti e smaliziati.
Micidiali le sardine di Peppe Re che son piaciute indistintamente a tutti i pesci.
Come ami nessuna delusione da Tiemco, Orvis e Owner.

 La pesca


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Casa Batida dispone di sei guide ed altrettante barche, tutte motorizzate tra i 60 e i 90 Hp, in grado di raggiungere velocemente anche le mete più lontane. La pesca è strutturata in 6 aree ben definite, che ogni equipaggio affronta con rotazione giornaliera. La cosa, se da un lato, offre pressioni di pesca limitate, e pari opportunità a tutti, dall’altro rende un po’ rigida la possibilità di gestirsi la giornata secondo schemi e gusti personali. Senza contare che se il giorno che è stato stabilito che devi andare a tarpon a 40 km dalla base, salta fuori il vento, ti sei giocato definitivamente quella pool, i tarpon e le possibilità di riprovarci una seconda volta.

Sei giorni con lo stesso compagno e con la stessa guida. Anche in questo caso la rigidità di impostazione degli equipaggi, giustificata dalle necessità di turnazione delle aree, crea qualche perplessità, ma tutto sommato comporta dei vantaggi. Rapporti interpersonali con la guida e col compagno che vanno affinandosi con il tempo. Si impara a conoscersi, a capirsi, ad integrarsi ed anche a sopportarsi. La forma lascia spazio alla sostanza. Si esulta insieme per un successo, si cercano insieme le soluzioni per i momenti no.
Si pesca dalla 8,30 alla 17.00. Pausa mezz’ora per un panino e una lattina, salvo il giorno del barbecue in spiaggia con le aragoste pescate fresche. Un momento che vale da sola una fettina di vacanza.
In barca non c’è mai calo di tensione, salvo nei trasferimento necessari.
Quando la guida palanca, uno dei due sta sul pozzetto, attento con la canna da bonefish, o da tarpon, secondo la zona, e con la coda ben srotolata nella barca. Teso a scrutare l’acqua. Il compagno, fa altrettanto, pronto ad impugnare una delle altre cinque canne sempre pronte, qualora un piacevole imprevisto, barracuda, permit, jack, o altro faccia improvvisa comparsa. Si stabilisce la rotazione tra i due pescatori, in genere un pesce a testa, o a volte un tentativo a testa. Sarà poi l’andamento della giornata, dei rispettivi umori, e la sensibilità di ciascuno a dettare tempi, ritmi e cambi.

 Il massimo

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Bonefish in tailing. Magari pescando in wading. Ovvero il massimo che si possa chiedere. Facili da individuare. Con la certezza che stanno mangiando e che sono tranquilli. Le chance di cattura sono altissime. Se la mosca, poco importa quale, purché poco piombata, arriva giusta e silenziosa, un paio di metri oltre il primo bone, è fatta. Si strippa a media velocità e di solito lo scatto è immediato. Se segue ma non attacca, ci si ferma un attimo, poi si riparte, ed è quasi sempre strike!
Purtroppo succede e sovente, il patatrac fantozziano. Coda e mosca che arrivano direttamente sulla testa dei pesci, creando uno spaventoso fuggi fuggi multidirezionale, che vanifica completamente il cauto approccio in barca o in wading.

 L’ambiente

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I caraibi offrono spettacoli forti, che rimarranno indelebilmente impressi nella mente. Per qualcuno diventano una droga pesante, lo scopo della propria vita alieutica, ma non solo. Si parte per un pesce, per una preda sempre più grossa e rara, e ci si ritrova a cercare invece, più che un avversario, lo scenario della sfida. L’esserci, in quel momento, in quel contesto da brivido. Lo realizzi solo quando sei a casa, senza più adrenalina che scorre, e ti riguardi quelle gocce di vita che la digitale ti ha regalato. Per me rimangono pennellate stupende, da ripensare, da riassaporare da solo e con gli amici. Ogni sabbia, ogni trasparenza, ogni cambio di blu, è un inno alla bellezza della natura, e alla sua capacità di aver reso quel mare il più bello dei mari.

 I pesci

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Il Bonefish è, o meglio è considerato, il re delle flats. E’ un pesce bellissimo, dalla livrea vitrea ed argentata, un antesignano miscuglio dei nostri pesci più cari. Ha una difesa bruciante, con una prima fuga che non finisce mai di stupire per la potenza che riesce ad esprimere in rapporto al peso. E’ sospettoso il giusto, selettivo il giusto, diffuso il giusto, per dare l’illusione anche in mare di fare una pesca da fiume. Non bolla, ma si manifesta col tailing, o lasciando una scia di acqua più torbida dove sta pasturando. Non assale l’esca con la veemenza cieca di un predatore, ma la guarda, la segue, e poi decide. Impone una certa raffinatezza nell’approccio, un buon lancio, una ferrata in linea con la canna, da portare solo con una trazione sulla coda, e richiede un’ottima vista, una gran capacità di leggere ogni movimento anomalo dell’acqua, di indagarne i cambi di colore del fondo, di intuirne magari l’ombra.
Fatta senza esserne padroni in prima persona, ma solo su indicazioni della guida, è una pesca snaturata e abbastanza scontata, avara di emozioni. Se vissuta in modo completo in prima persona, dall’avvistamento, al momento del lancio, sino all’attacco, è veramente appagante.
Le guide lo pongono al top delle attenzioni. Se si ha la fortuna di imbroccare le prime due giornate buone, si può realizzare un bel score di catture, scaldarsi i muscoli per pesche più impegnative, e riservare al bone il ruolo di dessert, ciliegina gustosa a coronamento di giornate ad altro dedicate.
Quando poi si ha la fortuna di trovare il posto giusto, che consente di scendere dalla barca e di affrontarlo con cautela in acqua, la soddisfazione è doppia.
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Il tarpon è stata la vera sorpresa di Cayo. Avevo solo conosciuto i baby tarpon dei Giardini della Regina. Quando Williams, dopo due ora a manetta mi ha portato nel suo posto, non credevo ai miei occhi. Grosse e grasse ombre scure, la gran parte lunghe tra uno e due metri, a pinneggiare tranquille vicino alle mangrovie, in attesa di un pesce sprovveduto o di un’imitazione ben lanciata su cui avventarsi.
Nulla è più spettacolare della difesa di un tarpon. Una seria incredibile di salti, a mostrare completamente fuori dall’acqua la sua possanza, a provare a giocarsi la grande chance delle salvezza, subito, senza combattere, senza soffrire.
Non è facile mantenere la freddezza quando sessanta o più libre di muscoli scattanti escono con fragore dall’acqua, ma bisogna cercare di farlo per non perderlo. Ha una bocca molto dura. L’amo stenta a conficcarsi. Ad ogni salto del tarpon deve corrispondere un immediato abbassamento della canna ed una nuova ferrata quando lo stesso rientra in acqua, Quando finalmente ha smesso di saltare (ma non contateci troppo, riuscirà a spiazzarvi nel momento in cui meno ve lo aspettate), comincia il tiro alla fune. Per fiaccare la resistenza di un tarpon di taglia occorrono mediamente almeno trenta minuti, il più delle volte giocati a pochi metri dalla barca, curando di non perdere mai l’opposizione delle rispettive trazioni.
Si finisce spossati, specie se succede come a me e Peppe, che passato il momento di panico da slamatura con i primi agganci, abbiamo fatto un giorno ininterrotto di costante e durissimo lavoro.
Tutti tarpon oltre le trenta-quaranta libbre, che hanno coronato una settimana prodiga di catture di taglia anche se numericamente contenuta.
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Nessuno del nostro gruppo è mai andato personalmente oltre una quindicina di pesci al giorno, a volte ci si è accontentati di un paio di bonefish, in qualche uscita, rara, qualcuno ha dovuto accusare cappotto. Salvavano la situazione nei momenti difficili i pesci minori, jack, barracuda, snapper, od occasionali, come l’aguglia, le piccole cubere, o i grossi squali, partita persa ma coronarie a rischio.

 Alcune catture

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Tarpon a parte, il pesce più spettacolare si è rivelato un Jack Crevelle. Eravamo al secondo giorno di pesca dopo aver esordito con buone catture di bonefish di taglia. Williams ci ha portati in un angolo magico, dove un profondo canale largo solo una quarantina di metri si incunea maestoso e sinuoso in una flat senza limiti.
Pesca in Wading, io col popper ad aspettare il passo di jack e barracuda, Peppe con la shooting taper a sondare il fondo del canale. Quando ha montato una classica sarda da Mare Nostrum, la guida l’ha guardato perplesso. Perplessità durata il tempo di un lancio, perché Peppe alla seconda passata era già incannato.
Avevo sentito tante volte raccontare di centinaia di metri di backing estratti, ma erano i soliti banfoni ormai ben noti; stavolta ho assistito in diretta, e la conclusione è stata positiva, solo grazie alla prontezza della guida che dopo i primi duecento metri di backing estratti ha capito che non c’era tempo da perdere, è corso alla barca, ed è arrivato in tempo per farci salire Peppe, quando già si intravedeva l’anima della bobina.
Dopo un estenuante tira e molla Peppe ha salpato il suo Jack più bello, ed il più bello in assoluto della settimana. Venticinque libbre esatte.
E’ mancato l’obiettivo primario mio e di chiunque vada per flats, ossia il permit. Ne abbiamo incontrati diversi nel nostro vagare marino, con alcuni ci abbiamo provato, con un paio ci siamo andati veramente vicino, ma alla fine la casella è rimasta vuota.
E’ un qualcosa che va oltre la convinzione e la voglia di prenderlo. Il permit è diffidente, incostante, e soprattutto mangia solo quando lo decide lui.
Col bonefish e col tarpon basta fare tutto bene per avere almeno il 50% di possibilità di cattura, col permit no.
Sarà il pretesto buono per ritornarci quanto prima.
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Tu chiamale se vuoi…emozioni.

Saluti a tutti.

Beppe Saglia


© PIPAM.com

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