HRV - Le mitiche trote della Gacka



Dal nostro inviato Nick Adams

“Absit iniuria verbis.”


Tempo di lettura: 20 minuti


  Luglio 2014


Brescia 03/07/2014.

Non vi ero mai stato.
Dapprima perché poco esperto di pesca a mosca, avendo letto e sentito raccontare che si trattava di uno dei più rinomati, dei più affascinanti e difficili spot del mondo , ritenevo di commettere un peccato di “ ubris”, una mancanza di rispetto nei confronti degli dei del fiume.
Poi la guerra.. e la violenza degli uomini anche nei confronti della natura e del fiume, campi minati e pesci prelevati per sfamarsi.
Dopo la decadenza il lento ma progressivo recupero.
Su Pipam ho incominciato a leggere report incoraggianti e stimolanti.
Ora ero pronto per pescare la mitica Gacka!
Partiamo verso le tre del pomeriggio, io ed il mio amico soprannominato “Bomba”, mio compagno di pesca sin dai tempi del ginnasio.
Il viaggio non inizia bene, appena il autostrada il traffico si ferma per un tamponamento più avanti, molto più avanti. Superato l’intoppo squilla il cellulare, è il mio commercialista che mi comunica che ha appena terminato di compilare la mia denuncia dei redditi e che devo versare diverse migliaia di euro. Sigh!
Parliamo di pesca e di progetti di futuri viaggi. Lui ha girato il mondo a caccia e a pesca.
“Ho letto che si tratta di un fiume molto difficile da pescare”.
“L’importante è vedere qualcosa di nuovo.”
Arriviamo a Trieste, attraversiamo la Slovenia ed entriamo in Croazia, giungiamo a Rijeka quindi ci immettiamo sull’autostrada con direzione Otocac.
Attraversiamo per un centinaio di Km una foresta fittissima, che occupa continuamente tutto lo sguardo, sembra un oceano verde. Ogni tanto la strada è scavalcata da larghi sovrappassi ricoperti di vegetazione, un cartello ci avverte con alcuni disegni che qui avviene il passaggio dell’orso e del lupo.
Verso sera arriviamo ad Otocac quindi proseguiamo per Liscko Lesce e finalmente entriamo nel parcheggio del nuovo Hotel Gacka.
Alla reception facciamo la conoscenza di Ivan il gestore dell’hotel, un giovane simpatico e gentile.
L’indomani si sarebbe addirittura offerto di accompagnarci alla “wooden house” per acquistare la licenza di pesca.
Ci assegna dapprima una stanza al primo piano ma poi ce la sostituisce con la numero12 al secondo piano. “Domani mi sposo e facciamo festa qui sino a tardi. Al secondo piano sarete meno disturbati”. Non c’è ascensore.
La stanza è piccola, molto piccola. E’ un sottotetto con due letti con piumino, un armadio, un tavolino ed una finestrella da cui si vede il famoso giardino di pietra attraversato da due ruscelli.
Il bagno è ancor più piccolo, lavandino,wc e box doccia in miniatura.
“ xx - fly avrebbe qualche problema in questo bagno”.
Una nota di colore, la carta igienica arancione come i piumini dei letti.
Nel parcheggio, mentre scarichiamo i bagagli, mi sento chiamare.
E’ Giampiero con Marco, vecchio compagno di scuola Sim che non vedevo da anni, più altri tre di cui due, tempo prima, avevo conosciuto sul Sarca. Strette di mano, abbracci e notizie di pesca.
“ Un coup du soire alla grande, ma solo con mosche piccole!”
“ Andiamo a cena insieme domani?”
“ Sicuro”.

La cena è soddisfacente. In camera scambiamo poche parole e mi addormento immediatamente.
L’indomani a colazione si presenta al tavolo una ragazza sui venticinque di una bellezza acqua e sapone, i capelli biondi in parte raccolti e in parte lasciati liberi sulla spalla, con leggeri boccoli, alla maniera delle “surfiste della California”, avrebbe detto mia figlia sedicenne, una t-shirt beige appena sollevata sul petto ed un paio di jeans attillati che le tornivano i fianchi e le gambe. E’ la cameriera che ci chiede che cosa vogliamo mangiare.
La seguo con lo sguardo mentre si dirige un po’ ancheggiando verso la cucina, la maglietta si solleva di quel poco che fa vedere una strisciolina di tessuto che si infila nel solco tra i glutei.
Inizio a fantasticare.
“Ma a che cazzo pensi Nick!” - “ Ormai sei un vecchio che quasi si piscia addosso”. “Concentrati sulla pesca piuttosto”.
Usciamo dall’hotel e ci dirigiamo verso il fiume che scorre silenzioso là a una ventina di metri. A sinistra la struttura sventrata del vecchio Hotel Gacka, si erige grigio e silenzioso a monito degli orrori della guerra.
Camminiamo su di un ponticello di legno che attraversa il fiume e nel frattempo ci accendiamo un sigaro, servirà a mettere in moto le funzioni intestinali, cosa molto importante prima di iniziare una lunga giornata di pesca.
Eccolo il famoso chalk stream in mezzo ai prati, dall’acqua cristallina e profonda, con gli erbai sommersi e le mitiche trote!
Gruppi di folaghe nuotano indisturbate e silenziose mentre alcuni tuffetti ora scompaiono, ora compaiono più in là. Le rive sono incolte, bordate da gruppi di canne, il paesaggio è veramente selvaggio.
“Per fortuna non ci sono i coccodrilli”. Commenta il "Bomba" riferendosi al suo recente viaggio in Africa.
A una trentina di metri c’è un pescatore. Molto concentrato proietta in acqua un’esca pesante e recupera velocemente e con regolarità. Mi dirigo lentamente verso di lui. Ad un tratto lo vedo ferrare, la canna si piega disegnando un arco perfetto e subito dopo una trota di tutto rispetto schizza fuori dall’acqua ed inizia la lotta per la sopravvivenza.
Il pescatore la tira a riva rapidamente, si inginocchia, la “guadina” con precisione, la libera dall’amo e la distende sull’erba per fotografarla. Orami gli sono molto vicino e gli punto addosso la mia Nikon. Lui se ne accorge e la solleva verso di me per un mio scatto ricordo. Una bella iridea sicuramente di oltre 40 cm. “Streamer?”
“Yes”
.
Un cenno di saluto, mi volto e torno verso l’hotel mentre il pescatore rilascia delicatamente in acqua il pesce.
Arrivato in albergo saliamo in macchina per andare a fare il permesso di pesca. Sono da poco passate le 10, la wooden house osserva un periodo di pausa dalle 10 alle 10,30. Inganniamo il tempo studiando la mappa della riserva e acquistati i permessi decidiamo di iniziare sotto l’hotel.
Attraverso il ponte di legno, a mezz’acqua trote di varia misura continuano a ninfare tra la vegetazione fluttuante. Il “Bomba” rimane sulla sponda sinistra , lo seguo con lo sguardo mentre avanza lanciando alla sua maniera alquanto rozza ma efficace, lui in acque libere è un “vermaiolo”, tira fuori la canna da mosca solo quando è obbligatorio. Pur avendo frequentato in un lontano passato un corso SIM, è molto essenziale nel lancio, si accontenta di arrivare in prossimità dell’obiettivo. Per l’occasione ha acquistato una nuova canna, uguale alla mia che in precedenza aveva più volte provato: una “Pozzolini TC 4” in 4 pezzi con 2 cimini per coda 6/7 con il porta mulinello modificato. Io gli ho fornito un mulinello “Greys GX 500” acquistato da Donà ed una coda 6WF “long belly” 3M Mastery Series expert distance. Alla fine della giornata mi dirà di essere stato molto soddisfatto dall’attrezzatura.
All’improvviso lo vedo scomparire con un tonfo, era caduto in un acquitrino! Sorrido.
Cammino lungo la sponda, in parte sfalciata. Le trote continuano a” ninfare”, in superficie nulla, insetti zero, bollate zero. Incomincio a provare di tutto. Dun, emergenti, formiche, stones, sedges.
Nulla!
Nemmeno un rifiuto! Cambio il tip e vi attacco una piccola ninfa cercando di farla scendere a mezz’acqua in prossimità di trote che la ignorano sistematicamente. “La pesca a ninfa a vista è veramente difficile!” “Se poi la fai a risalire! Come si fa a denigrarla!” “Tocchisti mosca”. “Non è che i secchisti a tempo pieno si rifiutino di pescare sotto perché è troppo complicato? In acque come queste a cosa ti serve un angolato”?
Dietro di me compare un pescatore in pantaloncini e sandali che a ninfa lancia sulle stesse trote che avevo insidiato una mezz’ora prima.
Fa molto caldo, anche la minerale nello zaino è a temperatura ambiente ma ti disseta lo stesso.
Decido di fare un riposino, cerco un posticino asciutto e mi ci sdraio. Il pescatore dietro di me continua a lanciare e a cambiare ninfe. Mi assopisco. I miei pensieri ricadono su “Pipam” il più importante e più letto sito di pesca a mosca Italiano. Mi sovvengono le recenti nuove polemiche del forum: le fotografie dei pesci catturati e l’uso del guadino.
Fotografare i pesci! Quante polemiche! Un tempo qualcuno scriveva: “ No foto no pesce”. Altri replicano che immortalare un cattura, per un ricordo duraturo, non la vale la sofferenza inflitta agli “amici pinnuti” manipolati maldestramente per più scatti, adagiati su sassi asciutti se non bollenti per rilasciarli poi quasi se non già agonizzanti.
“Amici pinnuti?” “Ma se io infilassi in bocca ad un amico un amo legato ad un filo e lo strattonassi violentemente, come minimo mi darebbe un calcio nei coglioni. Per fortuna i pesci non hanno i piedi!”
Altri affermano che è etico fotografare il pesce catturato, a patto che questo rimanga nel guadino in acqua.
Al di fuori dell’acqua solo catture eccezionali.
Un mese fa, sulla Sava, ho allamato un temolino talmente piccolo che aveva la dorsale appena accennata, sarà stato lungo forse cinque cm. Sicuramente il temolo più piccolo della mia vita. Avrei dovuto fotografarlo? Boh!
Rivedo nel dormiveglia le tante foto che spesso hanno provocato reazioni stizzite e disgustate da Pam che ritengono la fotografia di “rito” un inutile sofferenza inflitta al pesce.
E’ vero molte di queste fotografie immortalano pesci di misura e/o livrea poco interessanti, o di pesci mal trattati strizzati in una mano mentre con l’altra li fotografano!
“Ma alcune sono veramente belle!”
Ricordo quella di xx- fly di un temolo nel guadino che esce con la testa dall’acqua e sembra sorridere all’obiettivo.
E poi quella di Beppe S. che ha suscitato non poche polemiche, scattatagli proprio qui, sulle sponde della Gacka poche settimane prima. Sotto un cielo dai colori inquietanti, all’imbrunire, Beppe, semi inginocchiato, mostra una trota tenendola tra le mani.
La misura è nulla di che. Ma la foto non è centrata sul pesce ma sul pescatore. Lui è il vincitore, ha trionfato con pervicacia ed astuzia sulla preda, l’atteggiamento è fiero ed emana forza e potenza. Lo sguardo ti colpisce. Apparentemente fisso nel vuoto è diretto, frontale, ed è rivolto a noi attraverso l’obiettivo. Mi ricorda, concedetemi il paragone blasfemo il “Cristo trionfante” della Resurrezione di Piero Della Francesca in quel di San Sepolcro, “ la più bella pittura del mondo”, come è stata definita. Al posto del vessillo la trota. Anche il pile è di color rosa come il sudario del Cristo. Bellissima.
E poi le polemiche sull’uso del guadino.
“Dovrebbe essere obbligatorio per legge”. “Se ne vendessi sarei assolutamente d’accordo, anzi bisognerebbe averne due, uno di scorta come per gli occhiali per chi ha l’obbligo di guida con lenti.”
No la rete con nodi perché danneggia il pesce, sì quelli con le reti atraumatiche o soffici o in silicone, le “gost”, che non spaventano il pesce.
“Ma non è già terrorizzato?” “ E poi non è vietato pescare con le reti? “Dov’è la sportività anche se pratichi il catch and release nel togliere al pesce l’ultima possibilità di liberarsi?” “ Magari solo per poterlo fotografare?”
Nel sonno immagino una vecchia grossa vecchia trota che racconta a una più piccola e giovane una sua brutta avventura di qualche tempo prima.

“ Stupidamente, in un momento di frenesia alimentare, avevo addentato una ninfa un po’ diversa dalle altre, era una pallina di metallo con delle piume ma soprattutto con un amo". “Amo” la parola più pericolosa per un pesce e per un uomo, come la definì Groucho Marx.
"Ormai non c’era più nulla da fare! Un dolore indescrivibile alla mascella mentre mi sentivo tirare verso riva. Ma io sono forte, pensai, sono più di due chili e mezzo di muscoli e poi quegli erbai mi saranno di aiuto. E invece nonostante le mie violente testate e gli scatti continui quel maledetto filo a cui ero agganciata non si rompeva e vedevo la riva sempre più vicina. Ma c’è il canneto, voglio vedere adesso come farà a tirarmi fuori. Ma all’improvviso compare su di me l’ombra di un lungo bastone con una rete attaccata, un’infida e micidiale arma: un guadino a manico lungo! In un attimo mi trovo sul prato, una mano sapiente mi libera velocemente da quella ninfa traditrice, poi una serie interminabile di scatti fotografici e infine mi ritrovo in acqua. Finalmente respiravo! Per fortuna abitiamo in una zona no kill”.

Quanta ipocrisia. Si predica il rispetto del pesce e poi si battono i vari no kill tutti i giorni della settimana e si vorrebbe anche togliere il periodo di chiusura tanto loro praticano il catch and release.
“E se vi sono altre specie in riproduzione loro sanno riconoscere ed evitare i letti di frega!”
Nel sonno vedo gruppi di “Pampipammisti” talebani dell’etica che percorrono le rive catechizzando i vari pescatori: ami senza ardiglione, guadini in silicone, niente fotografie di pesci fuori dall’acqua.
A proposito degli ami senza ardiglione, un commerciante del settore mi diceva che questi hanno la punta più lunga e a volte rivolta verso l’alto, quindi penetrano più in profondità. Alla faccia!
Capisco che simili pensieri possano disturbare o offendere qualcuno, ma come dice S. Tommaso ciò che avviene in sogno non va imputato a colpa...

...Un ciabattio sull’acqua mi sveglia bruscamente. Non è un folaga che s’invola. Finalmente il pescatore in pantaloncini e sandali aveva ferrato una trota. Il combattimento è breve, la guadinata rapida, la slamatura e il rilascio veloce.
Sono le due passate. Il caldo è mitigato da brevi folate di vento. Mi dirigo verso il ponte di legno per recuperare il mio amico.
Mentre salgo i pochi gradini di legno che portano al ponte vedo comparire un angelo. Ma no! è una sposa, con un lungo abito bianco, che avanza sul ponte tenendo sollevato, per non inciamparvi, il bordo inferiore, mostrandomi un paio di perfette gambe. Dietro di lei, in abito scuro, Ivan il nostro albergatore! “L’aveva detto che oggi si sarebbe sposato.” Ora si accingevano a fare un servizio fotografico con sfondo bucolico.
Sorride mostrandomi il pollice alto.
Li incrocio e li supero, poi scatto alcune fotografie agli sposi ma soprattutto alle madrine della sposa. Due giovani ragazze, una con un abito dorato, cortissimo a palloncino e due gambe mozzafiato su tacchi alti. L’altra in abito nero lungo con spacco.
Sotto il ponte, all’ombra di una grossa pianta il "Bomba" aveva agganciato una trota. L’aveva vista in attività in superficie, aveva montato una grossa sedge cinnamon, acquistata il giorno prima da Pozzolini e l’aveva catturata al primo lancio.
Che bel quadretto! Sul ponte gli sposi, le madrine, le damigelle, i fotografi; sotto il ponte il "Bomba" con la trota in canna!
Decidiamo di spostarci più in basso. L’auto è un forno. Arriviamo al primo ponte, parcheggiamo e andiamo a vedere il fiume.
Sulla riva, su di un tavolo con panchine in legno, all’ombra di un paio di alberi, Giampiero, Marco e gli altri avevano appena finito di ingozzarsi e si accingevano a cambiare posto.
“Stamattina bollavano”. “Sopra e sotto il ponte è buono” ci dicono, “ noi siamo stufi di prendere pesci in questo posto, siamo qui da tre giorni”.
“Ora ci spostiamo nel tratto sotto l’hotel e il coup du soir lo facciamo nel tratto a monte, dove ci sono i temoli”. “ Ci vediamo nel parcheggio che si va a cena insieme”.

Scendiamo lungo la riva a valle del ponte. Il paesaggio è rilassante nella sua monotonia, prati, pochi alberi lungo le rive, canneti e questa massa enorme di acqua cristallina che scorre silenziosa ed in essa gli erbai sommersi che fluttuano come dita che suonano un’ arpa ed in mezzo le trote che indisturbate continuano imperterrite a ninfare.
Lungo la riva opposta corre una strada, probabilmente sterrata, che ora è percorsa da piccoli gruppi di bikers che probabilmente stanno correndo una gara di ciclocross amatoriale. Il silenzio del pomeriggio è rotto dal rumore secco dei cambi. In lontananza il fastidioso vociare di incitamento di alcuni supporters radunatisi sul ponte.
Fa sempre più caldo e non si muove nulla. Pochissimi insetti, nessuna bollata. All’improvviso, come il getto di un geyser, una grossa trota esce dall’acqua per più di un metro e vi ricade fragorosamente. “ Forse aveva cercato di catturare un farfalla.”
Raggiungo il "Bomba" che si era spostato in una zona d’ombra, creata dalla vegetazione sulla sponda opposta.
“Qui qualcosa si muove, forse perché è più fresco”
Sorrido vedendolo a piedi nudi.
“Mi bollivano nei cosciali”.
Il sole sta calando dietro le colline, la luce si attenua, l’aria si rinfresca. Brevi folate di vento non solo ti portano sollievo ma ti permettono di far disegnare alla coda utili pose curve. Attraverso i rami di un grosso albero sulla sponda opposta alcuni raggi di sole mi abbagliano creando un fastidiosissimo riverbero sull’acqua e soprattutto sul nylon del terminale.
Ma ora c’è qualcosa di nuovo! Sull’acqua nugoli di moscerini sembrano danzare all’unisono, qualche effimera emerge qua e là e si invola lentamente, alcune sedge con le antenne in verticale saltellano ritmicamente sull’acqua per ovodeporre.
Tutta la superficie dell’acqua, oramai scura, è rotta da schiene che si spostano rapidamente senza mai mettere fuori la testa.
“Non stanno bollando, stanno mangiando ninfe emergenti sotto il pelo dell’acqua”.
Monto una ninfetta appena appesantita ma non sortisco alcun risultato. La luce è calata ulteriormente e ci vedo sempre meno e sono stanco “ Eppure mi sembra di fare tutto giusto”. “Forse non hai tenuto conto dei microdragaggi”. “ Ma no è la ninfa che non lavora alla giusta altezza, oppure la taglia o il colore non sono esatti, oppure le codine sono troppo lunghe o troppo corte, oppure sono due e non tre, ma “cazzo” che fanno le contano? Ma va’ a cagare tu e i microdragaggi”.
Mi sento stupido ed impotente di fronte a quel ribollire di schiene.
“Dove sono finite le mie abilità nel lancio e le conoscenze entomologiche?”
Ma non mi do per vinto.
Sostituisco la ninfa con una specie di “arpo” in cul de canard marroncino. Nonostante il finale di sei metri circa, nonostante la mosca scenda in testa senza dragare, nessuna trota, nemmeno una minitrota, si dimostra interessata a quel piatto che le passa davanti come su di un tapis roulant.
E’ tardi, quasi buio. L’attività dei moscerini in superficie e delle trote sotto la superficie non rallenta. Eseguo, scazzato, l’ultimo dei soliti ultimi trenta lanci. Tutti noi, credo, per esorcizzare la situazione, siamo soliti annunciare ad alta voce l’ultimo lancio, così il pesce ci crede e noi poi lo freghiamo con il successivo. Nulla e ancora nulla.
Sono sconsolato, sollevo leggermente la canna e incomincio a riavvolgere la coda, lentamente, concentrato al massimo, so perfettamente cosa potrebbe succedere! La mosca tirata striscia sotto il pelo dell’acqua e subito sento uno strattone, ferro senza pensarci.
“ C’è ”.
“Finalmente hai scappottato”
sento dire dal "Bomba" che mi si avvicina rapidamente.
La trota è una fario, la testa è grossa ma non riesco a valutarne le dimensioni. Non c’è combattimento, l’ho presa sotto riva, oppure entrambi siamo stanchi. Ma ora ci sono le canne attraverso cui farla passare. Il guadino come sempre è rimasto in macchina, e questa volta avevamo anche quello lungo.
“Presto portala qui, che è più pulito”
Ma non ho voglia. Allento la tensione della coda e la trota che forse ha capito si avvita su sé stessa, si libera dall’amo come se avesse le mani e tranquillamente si nasconde nell’erbaio.
Finisco di riavvolgere.
“Hai notato?” mi fa il "Bomba".
Certo, qualcosa è cambiato. Come se una mano invisibile avesse girato la pagina di un album di fotografie il paesaggio era lo stesso ma diverso. Nessun insetto più sull’acqua, nessun movimento in superficie. Il coup du soir, era terminato. Ora il silenzio totale, interrotto a volte dal breve canto di un uccello o dal fragore di una cacciata, in lontananza, di qualche grossa trota. Il fiume è diventato una strada nera tra i campi.
Misterioso come lo definì l’amico Anderlini.
Mentre ritorniamo alla macchina penso alla qualità delle catture, potrei vantarmi dicendo “solo fario” omettendo il piccolo particolare che avevo preso solo un pesce.
Mentre ci togliamo gli stivali e smontiamo le canne scambiamo quattro parole con un gruppo di veneti che a loro volta si stavano cambiando.
“Oggi erano bastarde, mangiavano solo sotto il pelo dell’acqua. Ieri bollavano alla grande”
“Questa l’ho già sentita, ma noi ieri non c’eravamo”.

Nel parcheggio dell’hotel raggiungiamo Giampiero e la sua banda. Anche per loro il coup du soir era stato avaro di catture. Decidiamo di andare alla ricerca di un posto dove mangiare, perché la sala ristorante dell’albergo ospitava il pranzo di nozze.
Ma alle dieci di sera passate è difficilissimo trovare qualcosa di aperto. Dopo un paio di tentativi a vuoto ci si dirige verso l’albergo Mirni Kotak, frequentato dai pescatori negli anni della ricostruzione dell’Hotel Gacka. “ E poi il gestore è uno che pesca a mosca, è abituato a servire la cena tardi”.
E in effetti è così.
L’albergo è tutto occupato da un gruppo di Giapponesi già andati a letto.
La hall è buia e deserta. Un televisore appeso ad una parete trasmette la differita di una partita dei mondiali: Brasile - Cile. Sapevamo già che il Brasile aveva vinto ai calci di rigore.
L’impiegato della reception ci fa accomodare a tavola ma ci avverte che dovremmo accontentarci di quello che c’era, perché la cucina era già chiusa.
Nonostante ciò ci porta vari piatti e nel frattempo commenta con noi la serata di pesca perché anche lui era sul fiume. “ Trote veramente selettive”, questo il suo commento finale.
“Ho visto, purtroppo”.
Paghiamo un conto veramente modesto, come lo sarebbe stato quello dell’albergo il giorno seguente. Ci salutiamo e rientriamo in albergo.
La festa di nozze era ancora nel suo pieno, tutti ballavano e cantavano.
Sarebbe continuata sino alla sei del mattino, ma io dormo indisturbato.
Al mattino facciamo colazione, paghiamo il conto e saliamo in macchina. Decidiamo di non pescare, andiamo invece a vedere le sorgenti come consigliato da Gianpiero.
Circondato da vecchi mulini, collegati da passerelle di legno, un laghetto con al centro un enorme occhio d’acqua, un polla da cui fuoriesce silenziosa e continua una massa liquida che subito si trasforma, dopo un piccolo salto, nella Gacka. Stupendo!
Ora stiamo andando a vedere i famosi ponti.
Siamo sul terzo.
Il paesaggio è sempre lo stesso, monotono, tranquillo, rilassante.
Nell’acqua profonda e cristallina le solite trote che ninfano tranquillamente.
Non l’ombra di un pescatore.
In cielo, sul bosco, tre grossi rapaci bianchi volteggiano disegnando cerchi concentrici in cerca di prede.
All’improvviso mi compare affianco uno strano individuo, non vecchio ma male in arnese, maglietta gialla, capelli arruffati, un solo dente in bocca.
Mi parla in una lingua che non comprendo, mi stringe la mano e mi bacia ripetutamente. Poi si dirige verso il "Bomba" e fa le stesse cose. Io mi defilo ridendo.
“ Hei, questo vuole dei soldi”
“ Dagli le kune che ti sono rimaste”
“ Già fatto ma ne vuole di più”.

Mi avvicino a lui, che mi supplica con le mani congiunte e gli faccio capire che non abbiamo kune ma solo euro. Lui tira fuori dalla tasca un cartonino e me lo mostra. C’è scritto 10 €. Gliene do cinque e lo mando via.
Scompare velocemente come era comparso. Mentre ripartiamo lo vedo nel giardino dietro una casa che declama qualcosa guardando il cielo.
E’ ora di prendere l’autostrada.
Il viaggio di ritorno avviene in silenzio. Solo poche frasi stupide ogni tanto.
“Hai visto quante porchette rosolate nei grill dei ristoranti lungo la strada?” “ Hai notato che per strada non abbiamo visto neanche una cornacchia?”.
Oramai siamo arrivati quasi al confine. Fatto gasolio all’ultima stazione di servizio, il "Bomba" mi sostituisce alla guida.
Penso.
“ Che strana la Gacka. Fiume dalle emozioni nette, contrastanti, manichee. Chi lo paragona ad un naviglio lombardo, chi invece si commuove alla vista dei pruni in fiore e si inebria del profumo della mentuccia selvatica. Mah! La Gacka è come l’opera lirica, la sua bellezza è eterna".
O la odi o la ami.
Qualcuno ha scritto che la pesca non è mai il fine ma il mezzo per conoscere. E’ l’esperienza che rende bella la vita.
Ne sono convinto.
Sonnecchio e i pensieri fluttuano nella mia mente come la vegetazione sommersa nella corrente , come le mitiche trote della Gacka ed il sinuoso fondoschiena della cameriera dell’Hotel Gacka.
Quando mi risveglio siamo già a Brescia.


Nick Adams



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