Gufo Nero non avrai il mio scalpo

Un racconto
15/10/09 di Beppe Saglia (beppe s.)
Mercoledì d’Agosto. Appena meno afoso del solito grazie ai recenti temporali.
Finisco il cantiere alle 17.30. La schiena è letteralmente a pezzi, ma il pomeriggio giovane e la vicinanza alla prima bassa padana mi spingono a fare un cambio di rotta.
Vedo il Po a Casale, è cioccolato, e l’embrione di idea di andare ad aspi si spegne di colpo.
Oddio, non proprio di colpo, perché c’e sempre un altro ponte nella mente di un pescatore…rimane ancora da attraversare il Tanaro, ed infatti… è incredibilmente pulito.
Si va, tanto dovrebbe essere tutto nel baule cosi come l’avevo lasciato venti giorni fa, prima che i miei liquidi intervertebrali decidessero di andare a zonzo.



La vista dei pioppeti che degradano al fiume mentre il sole si abbassa e li trafigge mi fa sentire a casa. Sto bene con poco anche quando non sto bene.
La strada di campagna è invasa dalle pozze delle recenti piogge, si passa al limite. Cerco la mia stradina tra i pioppi e non la trovo. Due volte su e giù e alla fine mi accorgo che è letteralmente sparita, pareggiata con l’incolto da un aratro irrispettoso.
Cerco un accesso alternativo, ne trovo uno non troppo vicino, mi ci infilo e dopo qualche centinaio di metri mi accorgo di essere a rischio di rimanerci.
Parcheggio. Mi dico… sarà mica lontano! E mi preparo.
Infilarsi gli stivali è un calvario, scoprire di aver dimenticato a casa l’Autan, una condanna. Ma mi incammino lo stesso, la voglia è tanta e ancorché di buon umore, mi accorgo di dover attraversare un boschetto ed un campo di granturco per arrivare al mio posto, ed in queste condizioni è quanto basta per presentarsi sul fiume già a pezzi.


Come è calata in un mese l’acqua!. Ora dei tanti bracci del fiume ne son rimasti due, e si attraversa agevolmente dappertutto.
Scorgo di lontano alcune sagome. Sono pescatori, azz.. pescatori a mosca. Ecco il risultato di tutto questo parlare dei pesci alternativi.
Maledetto Beta e maledetto me! E’ la prima volta che venendo da solo finisco per pescare in compagnia. E la poesia comincia a diradarsi. Mi porto a valle per mettere distanza tra me e loro, stare in piedi è un calvario, non si sono i massi del torrente per sedersi, unico momentaneo sollievo accucciarsi alla Kuckiewicz.
Cacciate poche. Un paio, vistosissime, ma richiederebbero lo scatto dei giorni migliori. Stasera o gli aspio vengono a cercarmi loro, o non se ne fa nulla.


Mentre aspetto constato purtroppo che la situazione zanzare sta degenerando. Fortunatamente dal borsello salta fuori un pezzo di Autan solido staccatosi una dalle volte precedenti. E’ grosso come un amo del 22 ma, centellinandolo come un barolo d’annata riesco a stenderne un sottile velo sul viso mettendo un momentaneo freno alla furia succhiatoria delle maledette.
Intanto lo sguardo continua a dividersi tra l’acqua e quei due figuri che stanno avvicinandosi. Ma dico, con chilometri di fiume vorranno mica venirmi a pescare sugli stivali?
E si che lo vogliono, ormai sono a cinquanta metri. Non penso di riconoscerli, il più vicino ha degli improbabili pantaloni rosa, improbabili per un pescatore intendo.
Eppure io quel corpo ciondolante che accompagna il lancio l’ho già visto…. Si, non può che essere lui. “Peri” azzardo, e subito “Beppe, ma sei tu?”, e via a spiegarmi che gli ero sembrato io, ma dubitava per via dei miei improbabili pantaloni rossi….
Saluto con piacere lui e Arioch, poi mi dicono che sono con Pinocchio e allora il piacere di averli incontrati si trasforma subito in voglia di allontanarmi. Fino a quando non si rimangerà ciò che mi ha scritto contro nel testamento mortuario del suo sito, è bene che non ci si incontri.
Scambio di mosche, saluto e con la schiena ormai semibloccata vado ad ispezionare una corrente a monte.


Vedo una cacciata mentre mi avvicino, ci sei allora. Mi acquatto e osservo, cerco conferma in ogni più piccolo movimento dell’acqua, nella luce ormai fioca del giorno che muore.
E’ li, subito a monte della corrente e sta studiando la tattica. Lo percepisco più che vederlo. Poi l’acqua si riga, due pesciolini schizzano fuori, sta attaccando, parte il lancio, lo strip, ed immediatamente una scia che lo segue… lo segue troppo a lungo però, troppo a lungo per un aspio.
Due, tre metri, nitidamente… e poi la botta. C’è. E’ bello, veramente grosso, ma è un cavedano.
Meglio di niente. La soddisfazione di una preda insperata riesce ad alleviarmi il dolore di fotografarlo e di slamarlo.


Basta. Ritorno indietro. Cammino a fatica. Sto per smontare la canna, ma sento un gorgata. So che dovrei tirare avanti ma cosa si fa a rinunciare.
Lancio ad intuito, una due tre volte. L’aspio che di sicuro c’era non salta fuori. Aggancio invece con gran stupore un barbo, niente di che come taglia, che evidentemente in due dita d’acqua ha scambiato il piccolo streamerino per qualche larva.
Penso ad uno nuovo Grande Slam dei poveri (in Po un mese fa avevo fatto siluro, perca e carpa), ma non ce la faccio a resistere oltre.

Il calvario di ritornare alla macchina mi opprime, più del caldo appiccicoso, più delle punture degli insetti.
L’angoscia di non riuscirci, ingigantita dalla scoperta di aver dimenticato anche la torcia, mi fan sbagliare strada. Non c’è luna a ingentilire le tenebre che mi avvolgono completamente.
Mi trovo nel mezzo di un pioppeto dove non ero passato prima. E’ arato, una pena camminarci. Sudo e col sudore sparisce quel velo di protezione dal volto. Le zanzare mi stanno devastando.
Inciampo in una zolla e mi trovo con la faccia nella terra, umida di pioggia e piena di formiche fameliche che in un attimo mi si infilano dappertutto. Chissà se riuscirò ad alzarmi.
Come possa essermi venuto in mente Frank Sawyer in un momento così non lo so. Forse perché lui è morto lungo le sponde del Test, a me andrebbe bene anche il Tanaro, ma, a parte che mi sembra un po’ presto, non nel fango e non divorato da chi ho speso una vita ad imitare!! Con la mano che trema di dolore e di paura cerco il numero di Peri sul telefonino, non c’è, ho appena perso tutti quelli che non erano salvati sulla scheda, non c’è nemmeno Arioch. Con scetticismo cerco Pinocchio, ecco quello è rimasto… Un dubbio di pochi secondi, poi ripongo il telefonino. Devo rialzarmi.


Striscio verso l’albero più vicino e mentre cerco un appiglio lo sguardo sale verso la cupa volta nera del cielo.
Un ombra tra le ombre, qualcosa di grande, che non riesco a distinguere, si sta movendo. Verso di me. Eccolo, ora con le pupille dilatate al massimo lo distinguo. E lui, portatore di presagi grami. Mi scende vicino ad ali spiegate, minaccioso. Ma che fa, mi attacca?
No, mi aspetta. Ha capito che non arriverò mai alla macchina.
Il sangue per un po’ non scorre più, rivedo la cruda scena di tanti western con gli avvoltoi a finire con barbarie i feriti delle battaglie abbandonati ed impotenti.
Agito la canna, ma nulla, continua a salire e scendere sino a due metri da me.
La macchina fotografica! Provo a spaventarlo col flash.. Nulla.
Con le forze residue mi aggrappo ad un tronco e riesco a tirarmi su. Riprendo a vagare per quel labirinto di pioppeto. E quello sempre a seguirmi da pochi metri.
Sto per ricadere a terra. Tutto sembra già scritto, quando invece scorgo nel buio una macchia più buia. E’ il boschetto.
Mi ci avvento, lo attraverso d’istinto stracciandomi la camicia contro un ramo, ma per me ormai non esistono più rami, ne piante, ne buche. Sono tutte ombre dalle forme più inquietanti e mi stanno seguendo. Non sento nemmeno più le zanzare che mi stanno divorando a centinaia.
Esco trafelato dal bosco e intuisco la sagoma della mia salvezza.
Nera come questa notte. Poche decine di metri mi separano da lei. Ma ora ho paura davvero.
Provo anche goffamente a correre mentre cerco le chiavi.
Salgo con un gemito roco per il lancinante dolore, coi cosciali afflosciati e lordi di fango, tanto non riuscirei mai a toglierli.. Infilo la chiave nel cruscotto con difficoltà, e tento di avviare….
Sento una mano afferrarmi la spalla. Mi giro di scatto mentre un urlo di dolore e di terrore mi muore in gola.
E’ il tubo della canna.
Si accendono le luci.
E’ fatta.
Gufo nero, non avrai il mio scalpo.

Beppe Saglia


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