Il temporale

Racconto
Italia  19/02/01 di Gianfranco Pelliciari (Von Pellix)



Il greto del torrente, ormai illuminato dai primi raggi del sole di mezzogiorno, risuonava del mormorio dell’acqua che scivolava tra le pietre come un sinuoso serpente, lambendole in un abbraccio morbido ed umido. Il suono armonico che ne scaturiva, ipnotico e rassicurante, mi accompagnava mentre mi spostavo da una buca al raschio successivo, alla ricerca di un segnale che indicasse la presenza in caccia di qualche bella trota. All’improvviso, un cambiamento di tono dei rumori di sottofondo sottolineò come qualcosa stesse accadendo. Anche il bosco incombente sull’acqua sembrò d’un tratto acquietarsi, quasi attendesse il succedersi di eventi imprevedibili. Come è frequente in montagna, una giornata iniziata sotto i migliori auspici stava rapidamente trasformandosi in qualcosa di diverso. Il vento sottile e leggero che, fino a qualche istante prima, accarezzava le cime degli alberi lasciò il posto ad un’aria fredda e umida che saliva dalla valle ombrosa. Come trasportate da un invisibile montacarichi, grigie nubi cariche di pioggia in breve tempo coprirono di una coltre ovattata l’intera vallata, soffocando poco a poco la luce del sole che, a tratti, filtrava fino al torrente con splendidi giochi di luce. Erano le prime avvisaglie dell’arrivo di un bel temporale di inizio estate.
Appostato in riva al torrente, completamente assorto nel tentativo di ingannare i numerosi pesci che sapevo presenti in buon numero con una bella e, per tutti gli intenditori interpellati, alquanto approssimativa riproduzione di mosca di maggio, non mi resi subito conto dei cambiamenti in atto. Dopo alcuni lanci senza successo, d’un tratto smisi di pescare, riflettendo sulla strana apatia che, d’improvviso, aveva colpito i pinnuti abitanti del luogo. Fermatomi così in osservazione presso un masso affiorante dall’acqua, posai l’attrezzatura per guardarmi attorno, non nascondendo a me stesso uno strano senso di disagio. Abituato da qualche tempo a pescare in un tratto del torrente alquanto infrascato, non mi ero reso conto del cambiamento del tempo nel frattempo sopravvenuto, accorgendomi solo allora che il sole, ormai coperto dallo strato di nubi, non riusciva più ad illuminare il fondo della stretta valle in cui il torrente si snodava. Con un’imprecazione mormorata a mezza voce, mi sfilai il giubbino da pesca per appenderlo ad un ramo che si proiettava sul masso su cui poco prima avevo già appoggiato la canna. Una volta liberatomi del voluminoso indumento, incominciai a prepararmi al peggio, cercando di estrarre con la massima rapidità il rain-jacket contenuto nel capace tascone posteriore. Un improvviso scroscio di pioggia mi sorprese senza che avessi terminato di indossare il capo impermeabile nuovo di zecca, regalatomi qualche settimana prima da mia moglie per il compleanno. Aumentando l’intensità delle imprecazioni, fino ad allora un sordo mormorio a mezze labbra, mi preparai a sopportare gli scrosci di pioggia che, di minuto in minuto, si facevano sempre più pesanti. Riuscii così a cacciare i miei 115 chilogrammi nell’indumento a tempo di record, pensando nel frattempo fra me e me che non avrei avuto migliore occasione per collaudare il bel regalo fattomi.
Intanto, una fitta cortina d’acqua cadeva dal cielo sempre più cupo, quasi fosse una parete quasi solida costituita da miriadi di gemme smeraldine dalle mille sfaccettature che lanciavano delicati bagliori, riverberando la poca luce che filtrava dalla spessa coltre di nubi. Imbacuccato nel mio completo impermeabile, appoggiato al masso e semicoperto da un provvidenziale ramo, rimasi ad ascoltare il nuovo suono che permeava il luogo: spariti il canto degli uccelli, il dolce mormorio del torrente ed il sussurro del vento tra i rami, il solo rumore che si sentiva era lo scrosciare della pioggia sulle foglie ed il suo tambureggiare continuo sull’acqua. Le gocce cadevano sempre più violentemente e, al momento dell’impatto con la superficie dell’acqua, generavano onde circolari subito destinate a durare una frazione di secondo, subito sostituite da quelle della goccia successiva. Piccole colonne liquide si sollevavano di continuo e, raggiunto l’apice, si schiudevano in una nuova goccia destinata a sua volta a cadere e continuare quasi all’infinito il ciclo. Era uno spettacolo magnifico.
Dopo poco tempo, ormai grondante quasi fossi caduto nel torrente, mi decisi a lasciare quel posto di osservazione troppo scoperto ed a correre al riparo di alcuni alberi che, come chiocce amorevoli, mi accolsero nell’abbraccio dei loro rami. Trovato inoltre alla loro base un lastrone di roccia sufficientemente ampio, mi sedetti così per terra protetto da quel tetto improvvisato, aspettando pazientemente che il temporale passasse. Nell’attesa, ormai non più indirizzato alla sola pesca, il mio pensiero si concentrò sulla solita fortuna che mi accompagna e che vede, immancabilmente, il guastarsi del tempo ogni qual volta io lavassi l’automobile. E sì! Da quello sprovveduto che ero, sordo ormai alla decennale esperienza che avrebbe dovuto consigliarmi altrimenti, il giorno prima avevo provveduto a pulire la mia fedele macchina.
Assorto in questi pensieri, continuai così a borbottare fra me e me, alternando imprecazioni contro la malsana idea venutami ad invocazioni affinchè il temporale cessasse. Passò così una mezz’ora e, così come era iniziato, d’improvviso il tempo cominciò a migliorare.
La pioggia iniziò lentamente a diminuire d’intensità ed un timido sole bucò all’improvviso la coltre di nubi ritornando ad illuminare la valle ed il torrente. Era una fantasmagoria di luci che si alternavano davanti ai miei occhi: il cielo mostrava a tratti ampi squarci d’azzurro che venivano rapidamente coperti dalle nubi che, trasportate da un vento teso in quota, si inseguivano sulle cime delle montagne. Così, pur continuando a piovere con una certa intensità, il paesaggio veniva illuminato dalla luce vivida del sole. Pioggia e sole: un connubio quasi impossibile che solo l’alternarsi veloce delle nubi e la forza del vento in quota rendevano possibile. Frastornato da questo tempo così incerto ed ormai rassegnato comincia a smontare la canna per riavviarmi verso casa, riflettendo come una giornata iniziata bene si fosse così rapidamente guastata. Mentre stavo rimuginando fra me e me apprestandomi così a raccogliere l’attrezzatura per avviarmi verso il sentiero che mi avrebbe portato alla macchina, lanciai uno sguardo pieno di rimpianto alla bellissima buca che si allargava davanti a me e che non avevo avuto l’occasione di sondare. D’un tratto, con la pioggia che cadeva ancora a goccioloni, notai un cerchio di onde allargarsi sul filo della corrente, troppo grande per poter essere stato provocato dal piovasco. Fermatomi un instante ed aguzzando ancor più la vista, mi accorsi con stupore che le trote presenti nella buca avevano iniziato a bollare freneticamente: una due, tre, cinque, otto bollate ruppero la superficie dell’acqua quasi contemporaneamente, nonostante lo scroscio che ancora cadeva, ora sottile e fitto come una cortina umida.
Sconcertato, mi fermai ad ammirare quanto stava accadendo davanti a me, cercando febbrilmente ma inutilmente di osservare quali insetti le trote stessero cacciando, non riuscendo però assolutamente a identificare nulla, anche per colpa dell’acqua che aveva iniziato a ricadere copiosa. Riconsiderata immediatamente la decisione di lasciare la riva del torrente e rimontata la canna in pochi millisecondi, stabilendo sicuramente un nuovo record mondiale nello specifico settore, mi apprestai così a riprendere la pesca, nonostante l’acquazzone mi avesse inzuppato completamente.
Riarmata la canna e montata una splendida imitazione di may-fly in pelo di alce e c.d.c., mi avvicinai quatto quatto al bordo dell’acqua, nascondendomi dietro un provvidenziale masso che sporgeva dalla riva. Incomincia così a lanciare, limitando al massimo i falsi lanci e cercando di non far volteggiare la coda direttamente sul pesce, ma verso la riva opposta. Non appena posata la mosca sull’acqua subito a monte dell’ultima bollata ed al margine della correntina che trascinava il torrente verso una piccola cascata, la superficie venne squarciata da un’ombra scura che si precipitava sul mio artificiale per poi rituffarsi rapidamente con una capriola spettacolare, facendo intravedere la splendida livrea di una fario sui 35 cm. Subito ferrai d’istinto, ma nulla aveva ghermito la mosca. Recuperatala, mi apprestai a lanciare di nuovo, spostando il tiro verso un’altra bollata che, nel frattempo, aveva interrotto la superficie. La situazione si ripeté per almeno una mezza dozzina di volte. L’artificiale induceva sì alla risalita le trote ma, all’ultimo momento, da queste veniva rifiutato con un guizzo ed un tuffo acrobatico. Sulle prime pensai di essere io a sbagliare la ferrata ma ben presto mi accorsi che i rifiuti erano dovuti sicuramente al modello di mosca. Provai così a montare altri artificiali, passando dalle classiche mosche da caccia (Royal Wulff, March Brown, Hair Adam’s, ecc.) alle sedge (Dry Caddis, Pupa Caddis, ecc.) alle sommerse (Royal Coachman, Olive Quill, GRHE, ecc. ) alle ninfe (Pheasant Tail, Sawyer’s Nimph, Grey Goose. ecc.), continuando a collezionare rifiuti su rifiuti. Infine, sconsolato, provai a montare quale ultima risorsa un’emergentina montata su amo del 18, col corpo in quill di pavone ed un ciuffetto in c.d.c. natural grey, mai pensando che tale artificiale potesse essere visto dal pesce in mezzo al continuo cadere della pioggia. La scelta ebbe invece un inaspettato successo! Lanciata sul margine della corrente, la mosca ruppe la pellicola superficiale mantenendosi, quasi invisibile, nello strato superficiale grazie al ciuffo in c.d.c.. Alla prima bollata di una trota sulla mosca, che intravedevo a mala pena sulla superficie dell’acqua rotta dall’impatto delle gocce di pioggia, ferrai d’istinto, agganciando una splendida fario di oltre 38 cm. dalla splendida livrea scura su cui spiccavano bellissime puntinature rosso vivo. L’attacco questa volta venne condotto in modo meno violento e spettacolare delle precedenti e solo l’istinto mi portò a ferrare al momento giusto. Le catture si susseguirono così con regolarità. Prima una, poi due, tre trote si lasciarono ingannare dai miei artificiali e molti begli esemplari, tutti di pezzatura più che discreta per le possibilità del torrente, vennero tirati a riva dopo un combattimento al limite delle possibilità del finale, il cui tip dello 0.12 venne messo più volte a dura prova da pesci ben oltre i 35 cm.
Cominciai così a sondare tutte le buche e le lame di corrente che incontrai con questo tipo di artificiale, infischiandomi della pioggia che continuava a cadere. Alla fine della giornata, soddisfatto ma bagnato fradicio potei contare sul tesserino segna catture l’ottimo risultato di oltre 40 catture, a coronamento di una splendida giornata di pesca.




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