Crescere

08 Febbraio 2010

Crescere
La prima sequenza del film “l’ultimo dei Mohicani “riguarda la caccia al cervo. L’animale viene rincorso, raggiunto e infine ucciso con un preciso colpo di fucile. A quel punto ha inizio la preghiera: ” Ci dispiace doverti uccidere, fratello. Rendiamo omaggio al tuo coraggio e alla tua velocità, la tua forza. “
Ciò che in queste sequenze viene messo in rilievo è il rispetto per il cervo, una preda che per molti indiani significava la sopravvivenza.
Adesso che non si caccia/pesca più per sopravvivere, questa nobile concezione nei confronti dei nostri avversari è oggi quasi solo un ricordo, tanto che il concetto di preda si è svuotato di significato per esalare l’ultimo respiro in anonimi sacchetti di plastica.
Nel film Avatar, la guerriera Na’vi è dispiaciuta per essere stata costretta ad uccidere alcuni animali feroci. Così facendo ha ucciso una parte del “tutto” e quindi anche di sé stessa.
L’accostamento degli ultimi indiani americani con gli abitanti del pianeta Pandora è inevitabile. Solo chi vive nella natura è capace di un rapporto empatico con la stessa. Ma è possibile che questo rispetto sia presente oramai solo al cinema?
La pesca a mosca ci consente di riimmergerci nel nostro ambiente originario, di ristabilire il contatto con qualcosa di atavico da cui proveniamo, senza peraltro dovere per forza uccidere quegli esseri che ci consentono di ristabilire questo legame così fondamentale.
La possibilità di decidere se rilasciare o meno il pesce dà all’attività alieutica un nuovo significato, più elevato e in un certo senso più nobile. Ci consente di continuare a mantenere il cordone ombelicale con Madre Natura senza però arrivare a compiere quel gesto estremo che, se rivolto a specie non immesse, ne pregiudicherebbe la futura esistenza.
Il significato si è capovolto: prima si uccideva per sopravvivere, adesso, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo smettere di uccidere. Se ci proponiamo di mantenere inalterato l’ambiente in cui viviamo, rilasciare quei pesci che si riproducono naturalmente nelle nostre acque diventa una necessità imprescindibile. La comprensione di questo concetto è il primo passo.
Il secondo passo consiste nell’iniziare a provare appagamento nel momento in cui si libera una trota o un temolo:
“Quando il piacere del rilascio sarà pari o superiore al piacere della cattura, allora caro amico, sarai un Pescatore a Mosca!”
Ciò che in queste sequenze viene messo in rilievo è il rispetto per il cervo, una preda che per molti indiani significava la sopravvivenza.
Adesso che non si caccia/pesca più per sopravvivere, questa nobile concezione nei confronti dei nostri avversari è oggi quasi solo un ricordo, tanto che il concetto di preda si è svuotato di significato per esalare l’ultimo respiro in anonimi sacchetti di plastica.
Nel film Avatar, la guerriera Na’vi è dispiaciuta per essere stata costretta ad uccidere alcuni animali feroci. Così facendo ha ucciso una parte del “tutto” e quindi anche di sé stessa.
L’accostamento degli ultimi indiani americani con gli abitanti del pianeta Pandora è inevitabile. Solo chi vive nella natura è capace di un rapporto empatico con la stessa. Ma è possibile che questo rispetto sia presente oramai solo al cinema?
La pesca a mosca ci consente di riimmergerci nel nostro ambiente originario, di ristabilire il contatto con qualcosa di atavico da cui proveniamo, senza peraltro dovere per forza uccidere quegli esseri che ci consentono di ristabilire questo legame così fondamentale.
La possibilità di decidere se rilasciare o meno il pesce dà all’attività alieutica un nuovo significato, più elevato e in un certo senso più nobile. Ci consente di continuare a mantenere il cordone ombelicale con Madre Natura senza però arrivare a compiere quel gesto estremo che, se rivolto a specie non immesse, ne pregiudicherebbe la futura esistenza.
Il significato si è capovolto: prima si uccideva per sopravvivere, adesso, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo smettere di uccidere. Se ci proponiamo di mantenere inalterato l’ambiente in cui viviamo, rilasciare quei pesci che si riproducono naturalmente nelle nostre acque diventa una necessità imprescindibile. La comprensione di questo concetto è il primo passo.
Il secondo passo consiste nell’iniziare a provare appagamento nel momento in cui si libera una trota o un temolo:
“Quando il piacere del rilascio sarà pari o superiore al piacere della cattura, allora caro amico, sarai un Pescatore a Mosca!”
Angelo Piller (Angelo) |