MDV - Maldive 2

Maldive  08/01/02

Il ritorno.

di Raffaele Mascaro (Raf)


Terra!

Sabato 2 Novembre 2002, ore 12:00.
Mi trovo in auto sulla Milano Laghi in direzione Malpensa ed alle sedici salirò sul volo dell’Emirates destinazione Maldive.
Nel tragitto autostradale il pensiero torna alla nascita di questo secondo viaggio verso le "Perle di Allah".
A Marzo al rientro dalla mia prima esperienza in terra maldiviana non avrei mai pensato di tornarci così presto, ero rimasto favorevolmente colpito dal fascino esotico di isole che nell’immaginario comune evocano luoghi da sogno, dai flats bellissimi, da un mare ricchissimo di pesce che, a noi pescatori, riserva sorprese incredibili e più di ogni altra cosa ciò che mi aveva entusiasmato era lo spirito d’avventura, il gusto dell’esplorazione e della scoperta che si vive in questo arcipelago e che poche altre mete al mondo oggi giorno riescono a suscitare.
Sebbene nel corso della prima esperienza alcuni inconvenienti dovuti ad una organizzazione approssimativa e confusionaria ci avessero accompagnato, creando inoltre difficoltà ad instaurare una comunicazione chiara ed efficace con i maldiviani, ero comunque consapevole che un giorno sarei tornato, ma quando?
Boh, forse nel 2003 e comunque dopo un bel viaggio in Settembre a Cape Cod in compagnia di Flavio "Harley" e Beppe Re.
In Luglio ricevo la visita di Luciano Maragni, per chi non lo conoscesse, è il personaggio che ha lanciato la pesca a mosca a Cuba e che nella sua ventennale esperienza caraibica ha scoperto ed ideato i lodge di pesca dell’isola, mi manifesta la volontà di fare un viaggio in inverno, probabilmente a Novembre, nell’arcipelago maldiviano.
Rapido giro di telefonate e di e-mails tra me, Flavio e Beppe ed ecco che la prenotazione per gli USA viene disdetta e subito si inizia a montare sui morsetti un altro genere di streamer; nel contempo mi attivo per cercare di ottenere dal mio capo le ferie necessarie per il progetto e soprattutto scatta la ricerca di un tour operator serio e professionale.
La scelta cade sulla Seafari Adventures del signor Giorgio Rosi che vanta quindici anni di esperienza maldiviana nell’organizzazione di crociere per i sub e di pesca.

Le nostre barche alloggio.

Il pacchetto che ci propone è interessante ed adeguato alle nostre esigenze di pesca e di soggiorno: una barca alloggio come si deve, la garanzia di un cuoco che sappia cucinare, e che in seguito scopriremo essere anche un gran pescatore, una guida locale, dei barchini per i flats, un dhoni per pescare all’esterno dei reef, il trasferimento in idrovolante e, non di minore considerazione una bella scorta di birra che, in un paese musulmano, è un optional non indifferente.

Cosìì, lasciando correre la mente eccomi già arrivato al terminal uno di Malpensa, un rapido saluto a mia moglie: "Ci rivediamo tra quindici giorni" ... ebbene sì quindici giorni di pesca all’orizzonte, scusate se è poco.
In aeroporto finalmente conosco Gigi, Danilo (due dei tre "vecchietti terribili", il terzo è Luciano), l’altro Luciano (esperto spinningofilo); nel gruppo dei "romani" ci sono Michelangelo, ribattezzato Miky e gli altri sono vecchie conoscenze nonché amici: Flavio, Beppe, Claudio Tosti (direttore tecnico della SIM) e Piero "il cormorano" che è carico come non mai nonostante sia reduce da una ospedalizzazione per un’ulcera perforata.

Domenica 3 Novembre, ore 8:00.
Atterriamo a Malé, aeroporto di Hululé o "la portaerei" come viene definita dai piloti l’isola che ospita la pista di atterraggio.

In vista dell’aeroporto di Malé.

Sbrigate rapidamente le formalità doganali di rito, all’esterno ci attende la nostra guida Kode, cinquantasei anni di cui venticinque come diving master instructor e guida di pesca nell’arcipelago delle Maldive.

Kode.

Alle dieci siamo già in viaggio direzione Nord; un gruppo di noi staziona sulla barca alloggio mentre i più scatenati , nonostante le dodici ore di volo ed il jet-lag, rimangono sul dhoni in azione, con le canne da traina in mare aperto e con quelle da spinning appena ci si trova a tiro di reef.

Destinazione ... pesca.

Beppe è il primo a catturare uno splendido Giant Trevally (GT) e subito dopo con la canna da stand up Flavio porta in barca una lampuga.
Nel trasferimento iniziamo a preparare l’attrezzatura da mosca, da domani si inizia e tutto deve essere pronto; nel frattempo abbiamo raggiunto gli altri e facciamo conoscenza con l’equipaggio della barca su cui saremo ospiti: la prima impressione è positiva, sembrano ben organizzati ed affiatati, ma la cosa che più ci stupisce e che subito apprezziamo è che il cuoco è veramente bravo.

Una gigantografia in cui troneggia un giapponese con un GT da 48 kg catturato a spinning, ci fa subito ben sperare e ci dà la carica, anche perché la guida nella foto era proprio il nostro chef.
Al mattino seguente i primi a svegliarsi siamo io e Flavio e veniamo richiamati dalle violente cacciate di un branco di Bluefin Trevally a circa un centinaio di metri dalle nostre barche. In men che non si dica tiriamo giù dalla cuccetta Beppe e saltiamo sul barchino (dinghy per i maldiviani); compiendo un giro larghissimo per non disturbare l’area di pesca, scendiamo in un bellissimo flat e, per portarci a tiro della mangianza attraversiamo un’ampia zona a corallo.
Beppe lancia e sbaglia un blue, io lancio e ne catturo uno.
Il tempo di slamarlo e ne vedo un altro, questo da record, lancio repentino e preciso ed il clouser minnow viene mangiato violentemente, in meno che non si dica ho fuori una cinquantina di metri di backing, ma commetterò un errore imperdonabile, non ho verificato se nella cattura precedente il finale ha subito abrasioni contro il corallo ed infatti poco dopo il carangide mi saluta.
Veniamo raggiunti da Claudio e Piero ma non fanno in tempo a mettere piede in acqua che si scatena un temporale. Decidiamo allora di tornare sulla barca e di proseguire il viaggio verso Nord verso uno dei nostri target di pesca: il bonefish.
Per due giorni rimaniamo all’interno di un’immensa laguna, con un flat vastissimo , ma dei famosi "ghosts of the flats" nemmeno l’ombra; in compenso lungo il canale di entrata dell’atollo si catturano diversi carangidi di cui alcuni di discrete dimensioni.
Il quarto giorno arriviamo nell’atollo in cui Mohamed, il nostro cuoco, ha visto dei bonefish.
La zona di pesca è caratterizzata da tre isole lunghissime separate da canali di comunicazione tra il flat interno e le lagune delimitate all’esterno dal reef, chilometri e chilometri di acque da esplorare.
Nella mattina catturiamo alcuni jacks e numerosi snapper, io riesco a prendere un Big-eye di buone dimensioni e Flavio subisce l’attacco di un GT stimato sui venti chili.

Raf.

La scena che mi mette l’adrenalina in circolo è vedere una coppia di GT di circa un metro inseguire il mio streamer ed essere disturbati nel momento dell’attacco da un bestione lungo una ventina di centimetri in più, Mohamed ci spiegherà che in quella zona mostri over i venti chili non sono assolutamente rari.
Nel pomeriggio, Piero che è alla sua prima esperienza in mare inizia a registrare una buona serie di catture tra carangidi e snapper a dimostrazione che il nickname "cormorano" è azzeccato.
Mentre io insieme a Claudio e Michelangelo siamo concentrati nella ricerca dei bones, ne vediamo alcuni, isolati e soprattutto molto sospettosi, nonostante le precauzioni prese per non spaventarli; capiremo in seguito il perché: la laguna è territorio di caccia di numerosi squaletti, alcuni anche intorno ai due metri.
Il mattino seguente decidiamo di esplorare la più estesa delle tre isole, tra l’altro la punta ad est è vicinissima ad una pass di ingresso alla laguna, per cui nel caso non individuassimo i bonefish saremmo comunque in una zona di passaggio obbligatoria per tante altre specie.

Big Harley ...

... e Raf dopo il passaggio dei golden trevally.

Nel momento in cui la marea è quasi al culmine più alto, al limitare del drop iniziamo ad inanellare un numero cospicuo di catture e Beppe sarà il mattatore delle giornata con un bone da cinquantotto centimetri, l’unica cattura di questa specie in tutta la vacanza.

Beppe Re ed il bonefish.

La sera rientriamo in barca sicuri di fare un po’ di invidia ai nostri amici, Miky e i due Luciano, che sono andati a pescare a spinning, ma la sorpresa l’avremo noi; sulla poppa del dhoni troneggia un GT da trentuno chili catturato da Mohamed ed i sorrisi luccicanti dei nostri tre compagni che si sono divertiti su un branco di decine di carangidi di taglia considerevole concentrati intorno ad una secca. Luciano Maragni l’unico che ha tentato di catturarne qualcuno a mosca, su sei allamati è riuscito a salparne solo uno ,con la 8’6 coda 12 e finale da quaranta libbre .

Da questo momento in poi però ci renderemo conto che ad oggi le Maldive non possono essere certamente indicate come meta ideale per la pesca al bonefish, almeno fino a quando qualcuno non troverà una o più aree in cui ci siano grossi branchi.
In ogni caso un’occhiata attenta nei giorni successivi l’abbiamo sempre buttata nonostante la nostra attenzione a questo punto fosse rivolta esclusivamente ai jack.

Cattura prima del temporale.

La cosa di cui sono assolutamente certo è che questo arcipelago è uno dei migliori al mondo per i carangidi, (GT, Bluefin, Bigeye, Rainbow Runner, Queenfish) con la possibilità di catturare pesci da record.

A questi bisogna aggiungere una varietà impressionante di pesci che attaccano lo streamer: diversi tipi di snapper , barracuda, pompano, leccie stella, serra, aguglie, pesci pappagallo, triglie pinna gialla, pesci trombetta e andando sulle mangianze gli innumerevoli bonitos.

Claudio Tosti con un bel blue catturato con il popper.

Tornando al viaggio, devo dire che la seconda settimana non è stata eccezionale a causa di venti provenienti da sud-ovest che hanno portato una situazione meteorologica molto instabile ed una notevole apatia nei pesci, ne abbiamo approfittato per visitare i villaggi locali, alcuni dei quali fuori dalle rotte del turismo.
Grazie a Kode, abbiamo avuto modo di conoscere a fondo i diversi aspetti della vita su queste isole e la cosa che ci ha sorpreso è come con le poche risorse a disposizione i villaggi siano ben organizzati e quasi completamente autosufficienti .
Gli abitanti vivono, prevalentemente, grazie alla pesca ed alla cantieristica navale.
Una parte del pescato insieme agli alberi da frutto (cocco, banane, kurumba, frutto dell’albero del pane, papaia) coprono il fabbisogno alimentare di queste popolazioni.
La cosa più curiosa in cui ci siamo imbattuti è stata scoprire un pozzo di acqua potabile, cristallina e freschissima in un’isola il cui punto più alto sarà a due metri sul livello del mare, acqua che i locali non usano per l’alimentazione ma esclusivamente per le abluzioni prima di accedere alla moschea per la preghiera.

Beppe Re assaggia l’acqua del pozzo. - Bonito essiccato.


La sera prima del rientro a Malé il nostro equipaggio organizza un simpatico ed abbondante barbecue sull’isolotto di fronte al quale siamo ancorati, con tanto di musica a ritmo di tamburi

Beppe Re assaggia l’acqua del pozzo. - Bonito essiccato.

Il dopo cena lo passiamo sul ponte della barca bevendo l’ennesima bottiglia di gin e con l’amara considerazione che tra un paio di giorni si tornerà al freddo, alla nebbia ed allo stress delle nostre città.
Ci godiamo un tramonto da favola con la speranza di tornare al più presto per provare in quei posticini in cui abbiamo visto e rotto su alcuni bestioni... .

Beppe Re assaggia l’acqua del pozzo. - Bonito essiccato.

Saluti a tutti.

Raffaele Mascaro


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