IS - Un sogno diventato realtà

Islanda  Giugno 2011


Testo e foto di Michele ”MALA” Malagugini

Nell’immaginario collettivo, soprattutto dei non addetti ai lavori, la “pesca a mosca” spesso s’incarna nella figura del classico “lord inglese”, un poco attempato e vestito di tutto punto, con giacca in tweed, cravatta, cappello e stivali in gomma, intento a reggere con una mano la sua fida canna da pesca (rigorosamente a due mani) e con l’altra, appesa per la coda, la cattura del giorno: un fantastico ed argenteo Salmo Salar, più comunemente noto come salmone atlantico.
Questa, in effetti, era e per certi versi lo è ancora, anche la mia visione della pesca a mosca, una tecnica (o forse sarebbe più corretto chiamarla disciplina?), che negli anni è cambiata moltissimo, evolvendosi e contribuendo, nel frattempo, a cambiare anche me.
Oggi, a distanza di molti anni da quando impugnai per la prima volta una canna da Fly Fishing, nonostante abbia avuto la fortuna di catturare le più disparate tipologie di pesci, sia in mare che in acqua dolce, possiedo ancora vivissimo nel cuore lo stesso desiderio che nutrivo da ragazzino, ovvero quello di catturare un salmone atlantico. Un desiderio la cui intensità si è mantenuta inalterata nel tempo.

Acquarello sul libro delle dediche

Purtroppo il confronto sul campo con questo “meraviglioso avversario” richiede una serie di premesse e condizioni venendo meno anche una sola delle quali, le speranze di cattura si riducono veramente al lumicino.
Senza dilungarmi ulteriormente nell’esporvi quali sono dette premesse e condizioni (per questo genere d’informazioni il consiglio è di rivolgervi a fonti, assai più autorevoli del sottoscritto), vorrei semplicemente raccontarvi la mia ultima avventura, per poter condividere insieme a voi il ricordo del mio primo salmone a mosca, anche perché non si trattava del mio primo tentativo, bensì del quinto in dieci anni!
A differenza delle altre volte, però, questa volta ero veramente deciso nel voler portare a termine il mio progetto.
Per prima cosa, anche in base al mio risicato budget, ho trascorso un po’ di tempo a valutare quale potesse essere il miglior “campo di battaglia” sul quale concentrare le mie attenzioni. Alla fine dei miei contorti ragionamenti, trovai un fiume che sembrava possedere tutti i requisiti a mio avviso necessari per nutrire qualche chance di successo: buona presenza di salmoni da Giugno a Settembre, avvalorata dai resoconti delle annate precedenti; fiume non molto grosso da poter essere agevolmente affrontato anche con canne ad una mano e, soprattutto, con una pressione di pesca molto limitata. Infine, cosa non meno importante, la possibilità, oltre ai salmoni, di poter catturare le mitiche brown trout islandesi.
Inoltre avevo ricevuto notizie confortanti anche da parte di alcuni miei carissimi amici che proprio un anno prima si erano recati sugli stessi luoghi, divertendosi moltissimo.
Insomma, a Dicembre 2010 presi la decisione: quest’anno, ad Agosto, si va in Islanda sul Reykjadalsa!
La scelta dei compagni di viaggio è stata il passo successivo: senza esitazione ho chiamato immediatamente Nicola (Piffanelli) e Neno (Roberto Furlan), con i quali, in passato, avevo già avuto il privilegio di trascorrere delle meravigliose vacanze, proponendo loro il mio progetto.
Guido (Mezzadri) è stato il terzo amico a cui ho rivolto l’invito.

Guido in pesca seguito a ruota da Stefano (Magni) e Pier Andrea (Marchetti)


Stefano e Pier Andrea si preparano ad affrontare la loro prima giornata di pesca

E voilà… a Gennaio 2011 la rosa costituente il “sestetto” aveva finalmente preso forma.
Il periodo prescelto (seconda settimana di Agosto) teoricamente avrebbe dovuto coincidere con la punta di massima risalita dei salmoni, determinata in base allo storico delle catture effettuate nel corso degli anni precedenti.
In realtà però, dovendo ripetere l’esperienza, opterei per la metà Luglio, quando le condizioni del fiume e del territorio possono garantire maggiori portate d’acqua rispetto al mese di Agosto. Ma nella pesca funziona così: non c’è nulla di scritto, non esistono regole e non esistono formule matematiche (per fortuna).

Scorcio sul fiume

Comunque sia, dopo i classici ed interminabili preparativi, e le molte ore trascorse pensando a quello che avrei trovato in Islanda, finalmente arrivò il giorno della partenza.
Tralascerò di descrivervi le vicissitudini vissute per arrivare dall’aeroporto di Milano Malpensa fin sul luogo di pesca, perché non mi basterebbero dieci pagine e finirei per annoiarvi; mi limiterò a consigliare, a chi fosse interessato ad un viaggio in Islanda, di prendere seriamente in considerazione la possibilità di volare direttamente dall’Italia su Reykjavik (senza scali intermedi) e da lì spostarsi fin sul luogo di pesca con un comodo fuoristrada, anziché ricorrere ad ulteriori voli interni per gli spostamenti. Con questi ultimi si perde troppo tempo.

Pier Andrea,Guido e Stefano

L’Islanda non possiede una rete stradale ed autostradale come quella a cui siamo abituati in Italia, per cui potrà capitarvi di percorrere molti chilometri su strade non asfaltate, nel bel mezzo di scenari mozzafiato.
Proprio questi ultimi, però, costituiranno il valore aggiunto della vacanza, rimanendo per sempre impressi nel vostro cuore e nei vostri ricordi.
Ma torniamo a noi: il Reykjadalsa è un fiume che scorre sul versante Nord Orientale dell’Islanda, a circa una cinquantina di Km dalla cittadina di Akureyrj (è la seconda città, come numero di abitanti, dopo Reykjavik).
Se devo essere sincero, l’impressione ricevuta al primo impatto con il fiume non fu delle migliori; considerando, infatti, che lo scopo del viaggio era (per il sottoscritto) la cattura di almeno un salmone atlantico, la ridotta portata d’acqua e la limitata dimensione dell’alveo, in alcuni punti non superiore ai 10 metri, mi fece mal sperare.
In compenso, l’ambiente circostante era davvero molto suggestivo.

Sistemati i bagagli nel nostro magnifico lodge (magnifico in tutti i sensi: ampio soggiorno con veranda, quattro stanze da letto, cinque bagni… Insomma, una figata!), ci “fiondammo” letteralmente in acqua, neanche avessimo trascorso settimane di marcia nel deserto.
Considerate le ridotte dimensioni del fiume, il mio primo approccio alla pesca, e pure quello dei miei compagni...

Neno che lancia

...fu con una nove piedi per coda 6 (decentrata e galleggiante, con possibilità, all’occorrenza, di aggiungere e/o togliere spezzoni di polyleader con vari gradi d’affondamento) e finale conico da 3,5 metri, con tip da un metro di fluoro carbon del 20, al quale legai, per tutta la durata della vacanza, un piccolo streamer nero, su amo dell’otto (della serie: “quando un artificiale convince!”) realizzato con un semplice giro di marabou, pochi filamenti di cristal flash ed una testina leggera leggera color arancio.

Lo streamerino magico spunta dalla bocca…

Insomma un piccolo streamer che, nella mia immaginazione, avrebbe dovuto assomigliare nella siluette (in cui personalmente credo sempre moltissimo) e nei colori, ad una mosca da salmoni tipo Black Francis o Sunray Shadow e nello stesso tempo ad una sanguisuga con ovetto in bocca, artificiale quest’ultimo che tanto mi ha sempre regalato in occasione di mie precedenti esperienze di pesca alle steel head.
Certo, penserete, un approccio un po’ delicato per affrontare i salmoni. In effetti non vi do torto ma, ripeto, considerate le condizioni in cui versava il fiume non c’erano, a mio avviso, i presupposti per partire con attrezzi più “pesanti”.

Primo giorno di pesca:

Convinto come non mai, scendo sul fiume alla pool 68 con l’intenzione di pescare le successive a scendere; dopo pochi lanci (due) ricevo la prima botta al cimino a cui fa seguito un acceso combattimento, portato a termine con la cattura della prima bellissima brown trout islandese. Ottimo inizio.

Brown

Il morale da quel momento in poi, iniziò a risalire la china; pool by pool e, soprattutto, brown by brown, la tensione che mi aveva accompagnato per tutta la durata del viaggio d’andata stava finalmente lasciando il posto ad un senso di felicità che solo certe situazioni riescono a trasmette. Con i muscoli caldi e movimenti via via più fluidi oramai mi sentivo parte dell’ambiente.
Alla pool 60 (una delle migliori e più suggestive di tutto il fiume), racchiusa tra una meravigliosa cascata, a monte, ed un lungo e profondo raschio, a valle, intuisco che, finalmente, ci sono i presupposti per realizzare il mio sogno, tant’è che sostituisco immediatamente il tippet, oramai logoro dopo le molte catture, con uno di pari lunghezza e diametro, al quale, però, lego sempre il medesimo artificiale.
Dopo aver attentamente e scrupolosamente battuto la pool 60...

La pool 60 vista dall’alto

...passo alla 59, anch’essa bellissima e con una importante depressione al centro, anche se un pochino più piccola rispetto alla precedente.
Mi avvicino con cautela all’acqua e dopo un paio di volteggi proietto la coda verso la riva opposta, con direzione a 45° verso valle rispetto al punto in cui mi trovo.
Eseguo un veloce mending a monte, allo scopo di rallentare la deriva dell’artificiale ed ottenere l’immediata distensione del finale.
Passa un istante e la botta che ricevo sulla canna è di quelle che non scorderò mai più.”
Nemmeno per un istante pensai potesse trattarsi di qualcos’altro. Ne fui certo fin da subito: Lui, il mio primo Salar, aveva finalmente abboccato ed ora si stava dirigendo con tutte le sue forze verso la testa della pool. Non potete immaginare la quantità di adrenalina che il mio corpo cominciò a produrre per tutta la durata del combattimento: avrei potuto aprirci uno spaccio!
Lui, il mio Salar, lottò come solo un salmone atlantico sa fare, dimostrando fino alla fine l’intenzione di non lasciarsi catturare.
Dalla mia, nonostante la tremarella, ce la misi veramente tutta e dopo alcuni interminabili minuti il mio primo salmone stava lì, disteso su un fianco, accanto alla mia mano tremolante, in pochi centimetri d’acqua.
Non era grosso. Si trattava semplicemente di un grielse da 63 cm e, dunque, le emozioni che provai durante il combattimento, furono enormemente amplificate dal fatto che avevo catturato il mio primo salar. Emozioni, comunque, che neppure uno scrittore navigato come Hemingway saprebbe descrivere!
Insomma, a poche ore dal mio debutto sul Reykjadalsa, il mio sogno di ragazzino si era finalmente realizzato.
Naturalmente, dopo le foto di rito ed un’opportuna ed accurata riossigenazione, il salmone poté riprendere la via del fiume e con lui anche il mio cuore ricominciò a battere regolarmente.

Il mio primo salmone ritorna al fiume

Ora potevo ritornare al lodge, dai miei amici, felice come mai avrei osato sperare.

Secondo giorno di pesca:

Oramai con spirito più leggero e rilassato, decido di trascorrerlo sempre in “solitaria” e sempre alla ricerca dei salmoni, mentre i miei compagni, meno masochisti del sottoscritto, optano per continuare a pescare le magnifiche brown islandesi.
In merito all’attrezzatura, mantenemmo la medesima del giorno precedente.
Com’è quel detto? Squadra che vince non si cambia!
E fu così che pure il secondo giorno fu coronato dalla cattura di un salmone, sempre un grielse, che mi fece divertire fino all’ultimo istante, con fughe continue e salti spettacolari.

Rilascio del secondo grielse

Ma il vero salmone, quello che in cuor mio desideravo realmente catturare… quello un po’ più serio… un pochino più grosso…, anche se non troppo,… ebbene, quello doveva ancora arrivare. Ma oramai cominciavo a crederci.
Sì, insomma, oramai sentivo che le cose stavano girando per il verso giusto: il fiume, nonostante la ridotta portata d’acqua, presentava alcune situazioni che mi facevano ben sperare. Inoltre il ricordo dei consigli ricevuti in passato da amici più esperti (leggasi Francesco Fedeli e Valerio Santagostino) in occasione di precedenti viaggi, erano vivissimi nella mia mente e li vedevo concretizzarsi nei movimenti e nell’approccio alle varie pool. Insomma, mi sentivo forte come una locomotiva e lubrificato a puntino !.

Terzo giorno: la caccia continua

Pier Andrea mi chiede di accompagnarlo a pescare nelle pool più a monte del Reykjadalsa, in un suggestivo canyon della lunghezza di circa 3 km.

Il fiume nella parte alta e più suggestiva

In realtà non sono molto convinto in merito alle potenzialità di questo tratto, ma decido ugualmente di assecondare le richieste del mio compagno.
L’accordo è quello di dividerci il fiume procedendo come segue: Pier Andrea dal basso, a risalire ed io, al contrario, dall’alto a scendere. Ci incontreremo poi, a metà strada, per raccontarci com’è andata.
Sono solo. Il posto è molto selvaggio, ma la regolarità delle rive e la quasi totale mancanza di alberi e/o ostacoli naturali lungo il letto del fiume mi permettono di pescare in assoluta tranquillità, dandomi modo di concentrarmi solamente sull’azione di pesca.
Le catture di brown si susseguono con regolarità. La loro taglia, per nulla modesta (tutti pesci oltre i 40 cm) e la loro stupenda livrea sono motivo di gioia e stupore continui.
Per la prima volta dall’inizio della vacanza, decido di pescare a secca, utilizzando grossi bomber che faccio dragare sulla superficie dell’acqua.
Le bollate, anzi, le esplosioni dovute all’aggressione del mio artificiale da parte delle trote, si susseguono.
Dopo un paio d’ore di pesca, finalmente scorgo la sagoma di Pier Andrea che, sull’altra sponda, sta risalendo pian piano il fiume, battendo scrupolosamente ogni buca o piccola ansa.
Noto che utilizza un metodo di pesca piuttosto insolito. In pratica usa lo streamer a risalire, lanciandolo verso monte e, dopo averlo fatto adagiare sul fondo del fiume, lo recupera dolcemente con piccoli movimenti, fino a farlo derivare in corrente”
Con questo particolarissimo sistema, Pier Andrea riuscì a catturare, oltre a moltissime trote, anche un paio di grielse, più altri due gli si slamarono. Non male come dimostrazione che nella pesca al salmone atlantico non vi sono regole, non vi pare?
Alla fine della terza giornata, Pier Andrea ed io ci incontriamo nuovamente nel luogo in cui avevamo lasciato l’auto, entrambi soddisfatti della bellissima giornata trascorsa e con un gran sorriso sulle labbra.
Abbiamo battuto una nuova zona… abbiamo fatto diverse bellissime catture… sono oramai le 21.00, per cui è ora di ritornare al lodge, ma…
...Ma sono ispirato dalla pool 69. La pool del ponte. “Raesi”, il suo vero nome in Islandese.

Raesi, la pool del tunnel

Raesi non è una bella pool, anzi. Scorre quasi per intero all’interno di grosso tubo in lamiera, passando sotto la strada principale che segue il corso del Reykjadalsa.
No, non è proprio una bella pool, però presenta una profondità, una larghezza e una corrente piuttosto costanti per tutta la lunghezza. Ed inoltre è una pool quasi tutta al buio.
Insomma, penso, se fossi un salmone che risale il Reykjadalsa, raggiungere quest’alcova costituirebbe l’obbiettivo dei miei sforzi. Detto fatto “entro nel tunnel”.
Pier Andrea rimane fuori, a guardarmi.
Così comincio a battere la pool, spazzolandola letteralmente, con dolcezza.
Lancio dopo lancio, con movimenti lenti della canna per far pulsare l’artificiale e renderlo più “vivo”. Pian piano, step by step.
Ad un certo punto, proprio all’estremità opposta del tunnel, dove la volta di quest’ultimo proietta la sua ombra arcuata in acqua, mi accorgo di un movimento improvviso in superficie: la “gobbata” di un salmone.
Dal punto in cui mi trovo, a quello in cui ho visto la schiena del pesce, mi separano circa 20 metri. Una bella distanza, considerando che sto utilizzando una canna ad una mano e che mi trovo all’interno di un tunnel largo circa 6 metri che mi costringe a limitare l’escursione dei miei volteggi.
Ma la voglia di tentare il colpaccio, supera ogni razionalità (qualità che non è di casa nella mia testa).
Comincio a volteggiare e dopo un paio di falsi lanci… shooting.
Contemporaneamente penso che, non appena l’artificiale toccherà l’acqua (sempre quello, lo streamer in marabou con la testina arancio), dovrò muoverlo immediatamente, per mantenerlo in superficie con il finale in tensione.
L’artificiale si posa… plic… Muovo immediatamente il vettino della canna verso l’alto e… BAMM!
Il salmone è salito con una fragorosa bollata! Bollata? Eccome! Una mega bollata simile alla cacciata di un luccio!
Senza esitazioni ferro all’istante. D’istinto. “C’è! Caspita se c’è”, esclamo ad alta voce. E stavolta non si tratta di un grielse.
Chiamo Pier Andrea, urlando, perché nel frattempo si è spostato fuori dal tunnel e, dunque, non ha avuto modo di accorgersi di quel che mi sta accadendo.
Finalmente, dopo molte grida, Pier Andrea mi sente imprecare per cui gli chiedo di portarsi dall’estremità opposta della pool, verso valle, nell’unica zona in cui ritengo di poter riuscire a salpare il salmone.
Intanto lui, il mio avversario, continua a darsi da fare in tutte le maniere per farmi morire di crepacuore. Adrenalina a 1000.
“Domani”, penso, “aprirò un secondo spaccio”.
Il combattimento si dilungò per diversi interminabili minuti, non so quanti. Forse sono rimasto in acqua un giorno… un anno. A me è sembrata una vita intera.
Infine, anche grazie al contributo di Pier Andrea che mi aiutò nelle operazioni di “spiaggiamento”, il mio terzo salmone raggiunse la riva. Misurava 84 cm, ovvero poco più di 6 Kg d’argento vivo (o quasi, visto che non era fresco di risalita).

Il terzo salmone da 84 cm

Non un mostro, per carità, ma per il sottoscritto quel salmone rimarrà il “pesce della vita”, soprattutto per le modalità con cui avvenne la cattura: in superficie, a vista, con un finale del 20 e, soprattutto, con un artificiale inventato al morsetto, una sera d’inverno, giocando insieme a Silvia, mia figlia.

Rilascio del terzo salmone


Quarto giorno:

La mia mente è letteralmente tra le nuvole. Il morale è così alto che tocca le stelle per davvero, tant’è che per quel giorno decido di non pescare. Oppure di pescare poco
Accompagnerò Neno alla ricerca del suo primo salmone. Nel frattempo Pier Andrea, caldo dell’avventura vissuta insieme a me la sera precedente, ne ha approfittato per alzarsi di buon ora e correre alla “69”, dove riuscirà nell’impresa di catturare il suo primo salmone.
Guido, Stefano e Nicola, invece, hanno scelto di continuare a girovagare lungo il fiume, alla ricerca delle brown.

Nicola e Guido

Per loro la cattura del salmone non costituiva una priorità come per il sottoscritto, anche se, alla fine della vacanza, Guido riuscirà comunque a catturare un grielse, mentre Nicola perderà il suo a qualche centimetro dalla riva, in poche spanne d’acqua, e a Stefano mancherà la sua unica grossa occasione a causa della troppa foga nel ferrare.
Per contro, proprio Stefano, che conoscevo poco prima di questa vacanza, si dimostrerà un ottimo compagno di viaggio, con cui mi auguro, in futuro, di poter condividere altre avventure. Nicola, invece, riuscirà nell’impresa di catturare la brown più grossa della settimana: 54 cm!
Ma torniamo a bomba: con Neno decidiamo di trascorrere la mattina nelle pool a valle del ponte di Laugar, (microscopico paesino di 15 case in tutto), dove la conformazione del fiume si fa molto più dolce e sinuosa rispetto alle zone a monte, caratterizzate da un aspetto più torrentizio. Purtroppo non catturiamo moltissimo e così, pool dopo pool, arriva l’ora di andare a pranzo.
Al lodge, tanto per cambiare, il grandissimo Nicola ci ha preparato il solito pranzetto luculliano (a questo punto apro una parentesi, perché ritengo sia doveroso farlo. Nicola è una persona speciale. Se immaginate il compagno di viaggio ideale, ecco, quello è Nicola. Oltre ad essere un bravissimo e tenace pescatore, ha tutte le qualità che un amico deve avere, e forse anche di più: modesto, sempre sorridente, brillante, colto, sa far da mangiare benissimo e lo fa sempre con piacere, sa organizzare qualsiasi cosa, sa trovare una soluzione a tutto. Insomma, ha un unico difetto, altrimenti me lo sarei sposato: è un uomo! Grazie ancora Nicola. Un grazie i cuore anche da parte di Guido, Neno e Pier Andrea).

Per fortuna che noi avevamo Nicola

Dopo mangiato e dopo un riposino d’un paio d’ore, Neno ed io ritorniamo sul fiume. Neno è carico. Vuole catturare il suo primo salmone. “Ok”, gli dico “Pool 69 e streamer(ino) nero. Andiamo”. Dopo qualche minuto arriviamo al ponte. Seguo Neno rimanendogli appena dietro, per non ostacolarlo nell’azione di pesca. Non passa molto che, nello stesso punto in cui due giorni prima avevo catturato il mio salmone, ne salta un altro. “Calmo Neno”, gli dico. “Stai calmo perché tanto non si muove da lì”. E Neno continua a pescare.
Lancio dopo lancio si porta sempre più vicino alla “zona calda”, quindi decido di uscire dal tunnel e portarmi a valle della pool, all’aperto.
Non faccio in tempo ad attraversare la strada e scendere nuovamente in acqua che sento Neno urlare: “Ce l’ho! Mala, ce l’ho! Ce l’ho!”
“Calma Neno. Calma. Adesso lo tiri fuori.”

Neno incanna il suo primo salmone nel tunnel

Guardare il mio amico che combatte il suo primo Salar mi commuove. Non scherzo. Sarà ridicolo quanto volete, ma in quei pochi minuti di combattimento, nei pochi minuti trascorsi osservando Neno combattere, ho rivisto tutto quello che sta dietro a questa nostra immensa passione.

Neno sta portando a termine il combattimento

I giorni trascorsi insieme lungo i fiumi, sotto il sole o la pioggia, sognando, bestemmiando, ridendo, discutendo e, a volte, arrabbiandoci pure. Neno, durante quel combattimento mi ha fatto capire, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quanto fortunati siamo stati ad appassionarci ad una tecnica come la pesca a mosca, che ci ha resi così uniti, vicini… Amici.
Oramai il salar di Neno è allo stremo delle forze. Entro in acqua con delicatezza e dopo averlo ferrato saldamente con la mano per la coda glielo porgo. Neno si inginocchia e piange. Io con lui.

Neno piange inginocchiato davanti al suo primo salmone

Siamo due cretini. Sì, siamo due cretini. Facciamo un secolo in due e stiamo piangendo come bambini. Ma si può? Ma chissenefrega! Piangi Neno, piangi.
Ed io con te, perché è grazie a momenti come questi che ci si sente unici e parte dell’universo nello stesso tempo. Grazie Neno.

La gioia di Neno dopo la cattura del suo primo salmone


Quinto e sesto giorno:

Tra una cosa e l’altra Pier Andrea cattura il suo secondo salmone, io il quarto e tutti… una montagna di brown!

Il mio quarto salmone

La vacanza giunge infine al termine. Dal punto di vista strettamente alieutico, considerando i presupposti al momento del nostro arrivo, devo ammettere che non è andata male.
Sotto l’aspetto umano, invece, posso affermare con assoluta sicurezza che i pochi giorni trascorsi in Islanda insieme ai miei amici sono stati uno dei periodi più “vivi ed intensi” che mi sia capitato di vivere.
Riassumendo in poche righe l’elenco delle catture, in sei pescatori abbiamo catturato 7 salmoni e ne abbiamo persi circa altrettanti, nonostante solamente il sottoscritto e Pier Andrea e Neno in un secondo momento vi abbiano dedicato l’attenzione.
Per quanto riguarda le brown trout, la loro taglia media sul Reykjadalsa si attesta sui 40 ÷ 42 cm, con punte che toccano e superano i 50 cm. Il numero di brown che si possono catturare in un giorno può variare molto in funzione del livelli e delle condizioni meteo. Comunque, per darvi un’idea, considerate che l’ultimo giorno, con livelli perfetti, acqua leggermente velata e cielo coperto e, dunque, con condizioni che reputo ideali per la pesca, in tre ore sono riuscito a catturare più di 25 pesci, di cui il più grosso misurava 52 cm.

Proprio belle ‘ste brown”

Direi una pescata di tutto rispetto.
Relativamente all’attrezzatura, invece, il Reykjadalsa è un fiume che si può tranquillamente affrontare con una nove piedi per coda 6, anche per la pesca dei salmoni.
Come dicevo all’inizio, per il finale io ho usato un conico da 4 metri, al quale legavo un tip del 20 da un metro, ma forse quest’ultimo può essere sostituito con un maggior diametro: 25.
Come coda consiglio una WF del 5 o del 6 galleggiante, alla quale potrete aggiungere all’occorrenza dei poli leader con grado di affondamento appropriato alla situazione che di volta in volta vi troverete ad affrontare.
Discorso a parte meritano gli artificiali: per le trote, se volete farle a secca, bibionidi e sedge su tutti. Come misura dell’amo, non scenderei sotto il 14 per i primi e sotto il 10 per le seconde.
Pescando a scendere, invece, molto divertenti i bomber in pelo di cervo, e decisamente devastanti gli streamer di colore nero con riflessi di luce argento/rame, costruiti su ami dell’otto a filo grosso (non si può mai sapere cosa aggredirà la vostra esca), non eccessivamente piombati, vista la poca profondità media del fiume. Casomai, per le zone più profonde, potrete sempre aggiungere un pallino di piombo a qualche manciata di decimetri dall’artificiale.
Personalmente uso la pasta in tungsteno: oltre a non essere tossica, come lo è invece il piombo, può essere tolta e rimessa più volte sul finale, senza arrecare danno alcuno ed inoltre può essere modellata e dimensionata ad arte in funzione del risultato che si vuole ottenere.
Se cercate i salmoni, invece, i pescatori locali consigliano l’utilizzo delle Black o Red Francis nelle misure dall’otto al dieci, realizzate sia in versione tube che su ami ad ancorina doppia o tripla. Oppure l’intramontabile Ally’s Shrimp ad imitare i piccoli gamberetti di cui si nutrono i salmoni quando sono in mare.
Infine, e questa non è una cosa che non deve proprio mancare nel bagaglio del vero pescatore di salmoni, tanta ma tanta, tanta fiducia in quello che fate e nell’artificiale che state utilizzando, oltre a tanta, ma tanta, tanta perseveranza perché, non dimenticatelo mai, state sfidando Sua Maestà il Salmone atlantico, il pesce dei mille lanci!

Mulinello: per il Reykjadalsa, un normalissimo raccoglitore per coda 6 a bobina larga, con una discreta frizione per contrastare gli eventuali combattimenti con le prede più grosse.

Vestiario: si dice che in Islanda il tempo possa cambiare di minuto in minuto. Noi, per la verità, durante i primi tre giorni abbiamo trovato sole, sole e ancora sole.
Poi, dal quarto giorno, le condizioni sono mutate, con vento sferzante e pioggia a catinelle e temperature prossime se non addirittura inferiori ai 5°C. Di conseguenza consiglio di vestirsi “a cipolla” portandovi via i capi che utilizzereste per la classica apertura alla trota sulle nostre Alpi ad inizio stagione.

Periodo: la pesca sul Reykjadalsa apre i primi di Giugno e chiude il 15 Settembre.
Come ho accennato in precedenza, il periodo migliore per i salmoni dovrebbe teoricamente coincidere con le prime due settimane di Agosto. Personalmente consiglio la seconda e al terza di Luglio, sia perché ho avuto modo di leggere le statistiche delle catture degli anni precedenti, sia perché in quel periodo potrete godere di livelli migliori e più ore di luce (in Islanda, ai primi di agosto, il sole tramonta a mezzanotte e sorge più o meno alle 5 del mattino, a Luglio ci sono circa due/tre ore di luce in più). In ogni modo tenete presente che sul Reykjadalsa la pesca è regolata da orari ben precisi e si può svolgere dalle ore 06.00 del mattino fino alle ore 12.00 e poi dalle ore 16.00 fino alle 24.00.

Altri consigli pratici: l’Islanda la moneta ufficiale è la Corona Islandese, e solo dal 2012 passerà all’€uro. Comunque sia, in molti esercizi commerciali viene già accettata la nuova moneta Europea e praticamente ovunque accettano le Carte di Credito.
Attenzione ai limiti quando guidate: in Islanda non si possono oltrepassare i 90 Km all’ora (ma tanto con le strade che hanno, dove volete correre? Molto meglio andar piano e godersi il panorama). E non affittate autoveicoli tradizionali.
Prenotate un bel fuoristrada, comodo anche per i bagagli, e se siete in più di 4 persone, meglio se ne noleggiate due (così potrete dividervi sul fiume).
Per l’organizzazione del viaggio e la prenotazione del lodge e dei permessi di pesca, noi ci siamo rivolti ad un’efficientissima agenzia di viaggi francese (GP - CHASSE ET PECHE 12, Rue de Saussure - 75017 PARIS - Tel : 01 47 64 47 47 - Fax : 01 47 64 47 48 – mail : Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), mentre per i voli ci siamo arrangiati. Se volete informazioni più dettagliate, non esitate a contattarmi al seguente indirizzo mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Bene. Il mio racconto è terminato. Spero di non avervi annoiato con i miei “voli pindarici” ed, anzi, mi auguro che questo mio articolo possa essere servito a trasmettere la voglia di vivere un’avventura come quella che abbiamo vissuto i miei compagni ed io, magari proprio alla ricerca del primo Salar della vostra vita!
In bocca al lupo!


Michele Malagugini


© PIPAM.org

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