FRA - Un pomeriggio tra le aquile

Francia   10/08/02



Testo e foto di Beppe Saglia


Occhi verdi, la buca tra i due orridi.
Francia. Parco Nazionale del Mercantour. Un sabato di primo agosto. La meta prefissata, il lago di Grenouilles, si è rilevata improduttiva a causa del forte vento che, increspando le azzurrissime acque del piccolo invaso di alta montagna, inibisce l’attività a galla delle trote.
Peccato, un’ora di veloce cammino buttata, ma la giornata è ancora giovane e allora decido di ricercare acque secondarie e per me inesplorate..
Scouting lungo un braccio della Bieugne fuori dalle rotte classiche e dal fortunato cilindro salta fuori un orrido stupendo, uno dei più belli visti dalle mie parti. Bello e impossibile con gli occhi verdi, ma aimè inavvicinabile (per ora!) nella sua parte più bella.
Infatti... . Scartata l’ipotesi balzana di risalire le prime cascate che mi si parano dinanzi agli occhi, opto per una manovra di accerchiamento, e dopo dieci minuti tra ginepri e pietre, quando intuisco dal degradare del pendio e dall’attenuarsi del rumore delle cascate che il torrente spiana, mi avvicino all’alveo, lego la mosca, mi pregusto buche e pesci, ma…. sorpresa assoluta, mi ritrovo sul bordo di una fenditura nella roccia larga non più di sette/otto metri ma profonda alcune decine.
Come ci si cala li dentro?
Uno spettacolo mozzafiato ed inatteso.
Pareti a piombo e sul fondo in successione una miriade di buche profonde. Impossibile risalirlo da dentro a causa di pareti lisce, cascate e pozze profonde alcuni metri.
Impossibile calarsi se non si è maestri della corda doppia.
Bellissimo.
Da quanto tempo quelle trote non vedono una imitazione?
Visto che mi è impossibile risalire, ritorno sui miei passi e provo a discendere. Pochi metri di tribolazione, la parete che diventa di nuovo ripida, io che non so che pesci (sig!) prendere, un po’ salgo, un po’ provo di traverso, e tempo cinque minuti, mi trovo incollato al pendio, infognatissimo con i miei scivolosi stivali di gomma.
Con non poca tribolazione e movendomi come mai bisognerebbe fare in montagna, facendo presa su arbusti e pietre smosse, riesco a riguadagnare il piano, e desisto definitivamente.
La zona a cascate, subito sotto occhi verdi.
Mi calo a valle prendendola larga ed inizio a risalire il torrente in una parte in cui la pendenza è quasi nulla, e grosse massi si alternano a pietre più piccole delimitando rispettivamente belle buche e veloci correntine.
È pieno pomeriggio, ma la montagna mi ha insegnato che non c’è mai un’ora prestabilita per l’attività delle trote. Oggi è un’ottima giornata; la sedge in pelo cervo, enorme per quelle acqua se confrontata con i ben più minuti tricotteri di cui pullulano le sponde (ma forse i pesci non vanno troppo per il fino), mi regala una cattura ogni due tre lanci.
Tratto a valle, accessibile e divertente.
Sono tutte splendide fario, di ceppo mediterraneo, presumo native, e di taglia variabile dai 15 ai 25 cm. Ogni tanto nelle buche più profonde, qualche vecchia si fa ingannare. Vecchia vuol dire quei pochi cm. in più, ma tali da renderla una cattura agnognatissima. Siamo d’altronde vicini ai 2000 mt. e la quantità di cibo e la temperatura dell’acqua sono pensate apposta per rendere dura la vita alle trote.
Tratto a valle, accessibile e divertente.
La buca la fa da padrona. Lì stazionano le più belle. Spesso dal lato opposto, e meno disturbato rispetto a quello del pescatore, al di là della corrente centrale.
Lanci corti, una dozzina di metri al massimo, ma grande controllo del dragaggio. Di solito uso lanci rallentati per ammucchiare il finale su se stesso e immediatamente rilancio una spira nella corrente più forte. Il tutto usando la solita 7 piedi e mezzo per la tre.
Scacco matto al dragaggio in due mosse.
L’unica raccomandazione è imparare a dosare il rilancio della spira in modo da interagire solo con la coda e per non andare ad interferire con il finale. Diventa fondamentale quando si va indietro con la canna per eseguire il rilancio, prendere coda dalle spire di riserva della mano sinistra invece che dalla coda già depositata in acqua. La ferrata deve essere pronta, proprio perché sconfiggere il dragaggio è in antitesi con il mantenimento della coda tesa in acqua.

La mosca è già depositata vicino al grande masso quando viene rilanciata una seconda spira sulla corrente centrale più forte.

Nonostante la corrente si sia gia presa quasi tutta la coda della spira, la mosca continua a stazionare nei pressi del masso senza dragare.

Finalmente la ferrata, che risulta efficace anche se la coda non è ben stesa.

La lotta, ma qui il gioco non è ad armi pari.

Subito prima del rilascio.

Ed ecco la coloratissima fario pronta ad essere rilasciata. Il divertimento continua sino a quando giungo alla lunga buca che segna l’inizio del canyon.
Ormai è tardi per qualsiasi piano d’azione, e allora mi siedo su un masso, riaccendo il mezzo toscano, e ascolto per alcuni minuti la musica dolcissima dell’acqua che scende. Un’ultimo sguardo.
Cascate, curve, pozze profondissime, il vorticare del torrente che fondendosi in essa, più di ogni dove diventa tutt’uno con la montagna, formando tra carezze e batoste quel connubio di somma bellezza e di atavico richiamo, che mi spinge, e spinge tanti di voi, a cercare ossessivamente questi luoghi.
Non avessi paura sarei coraggioso diceva un amico e così è per me, che patisco le vertigini, temo le piene improvvise, e sono da trent’anni che non faccio più una discesa in corda doppia. Ma in quel canyon in un modo o nell’altro mi ci infilerò.
Un saluto a tutti...

La grande buca sotto le cascate.


Beppe Saglia


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