FRA - La Sorgue

Francia 16/05/05




di Beppe Saglia

In cerca dell’essenza della pesca a mosca.



3 e 30 del mattino, in una Torino vuota e silente. Andrea mi sta aspettando sotto la sua casa in centro. Mentre carica lo spartano bagaglio (tzè, due misere canne contro le sei mie….) lo aggredisco dicendo : “Hai cinque minuti di tempo per decidere se, in fondo a corso Unità d’Italia, giriamo a sinistra per la Slovenia o a destra per la Francia”.
Lui, serafico come solo lo può essere chi è in pace con se stesso e con il mondo, si fa riassumere i pro e i contro, il rischio di arrivare in Unec e trovarlo alto, il dover ripiegare sulla Sava, e dall’altra parte l’incognita di un posto poco frequentato, fascinoso e difficile… , poi 200 metri prima del bivio lancia in aria la monetina… ed esce Francia.
Subito dopo la svolta ci confessiamo vicendevolmente che avevamo entrambi una leggera preferenza per questa destinazione, ma lasciar fare al destino da leggerezza… .
Viaggio in tutta tranquillità, da Torino sono un 5 ore abbondanti, con l’unico stress dei mille balzelli autostradali.
Il problema di trovare l’ Ufficio del Turismo o il negozio Decathlon per le infos e i permessi, in Francia è facilissimo. Basta vagare alla cieca in Isle s.l. Sourgue e, cercando parcheggio, finire per chiedere informazioni nientemeno che al titolare del locale negozio di pesca (che bontà sua, tra trentamila anime, proprio lui stava passando di lì).
E dicono che il culo nella PAM non centra niente!


Eric, il gentilissimo titolare, realizzato che eravamo italiani (come avrà fatto poi, dato il nostro francese perfetto), tira fuori un vecchio Fly Line, e scoperto che l’autore dell’articolo (ciao Perletti!) era un nostro amico, che io collaboravo con la rivista e Andrea era il WM del famoso Pipam, ha cominciato a farci ponti d’oro, con ogni genere di infos, sino a ospitarci in un piccolo cottage di sua proprietà, non ancora finito di ristrutturare, sigh, all’interno di una splendida tenuta, in riva alla Sorgue, con addirittura un breve tratto privato del famoso fiume.
Cartina dei percorsi, spiegazioni, consigli e poi come sempre l’imbarazzo della scelta.


Per deformazione mentale attacchiamo con il No Kill, anche se ci è stato detto, e lo constateremo di persona, che non vi è differenza con i tratti liberi.
Una mezzora a centrare il sentiero che vi conduce, con l’apprezzabile idea di tenere le macchine molto fuori dall’ambiente fiume, e… ragazzi che spettacolo!



Un Unec francese, solo con le sponde meno libere, e aimè, fattore determinante, con il divieto sino all’apertura del temolo (il 22 maggio) di entrare in acqua.
Quindi lancio estremamente difficile, giocato tra grandi controlli della direzione tra un albero e l’altro, lunghi roller, e un’infinità di mosche perse.
Oppure, ed è la tecnica francese, si individua un pesce, lo si marca stretto, lo si martella di ninfe sino a che intontito, o impietosito, si fa allamare e si dona alla foto di rito.
Devo dire per la verità che in tre giorni di pesca, pescatori che facevano viaggiare, e anche bene, le loro ninfe ne ho visti a decine, di pesci allamati pochi ( a parte i nostri…), mi sembra uno solo.
La Sorgue è infatti ritenuta uno dei fiumi più difficili della Francia, ergo uno dei più difficili del mondo.
Lontanissima la destinazione alternativa, quella Sava che dà cinquanta pesci al giorno ad ogni pescatore, quasi convincendolo di essere veramente bravo (se poi sa fare anche i sottovetta…) o ad avere capito tutto sulle mosche giuste. Sta a vedere che i luna park esistono anche in Slovenia!

Il percorso No Kill è bellissimo, un paio chilometri, forse meno, con non più di una quindicina di posti che, a piede asciutto, consentono di lanciare decentemente.
La qualità dell’acqua è eccezionale. Fondale ghiaioso e pieno di erbe. Prime mosche di maggio, qualche sedge, qualche plecotterino.
Bollate sparse, non ripetitive, ma significative.
Pesce sospettosissimo, udito fino e dieci decimi di vista.
Ampio database disponibile delle principali mosche del vecchio continente.


Dalle undici all’una completiamo la prima sessione di pesca.
Prendo una tigré su bollata proprio allo scadere del tempo fissato per il pranzo ed è l’unico pesce della mattinata.



Breve sosta alla locale boulangerie, ottime focacce, crostoni, dolci, croissant, soprattutto belle fornaie, zinnute e sorridenti; sarà nostra meta fissa durante tutta la vacanza.
Quindi percorso privè della Mousquety , bellezza conturbante, pare un test con l’acqua più pulita. Per me sonnellino lungo le erbose sponde, per Andrea una serie di sobrie imprecazioni, non so se rivolte alle trote snob o agli alberi, famelici di costose mosche.


Alla sera sondaggio di un tratto libero a valle del No kill. Tanto pesce, minutaglia compresa, ambiente vivo, ma quelle serie (e a giudicare dalle bollate, ce ne più d’una) non si fan fregare. Prendo un temoletto e una fariotta, l’ultima mezzora di luce, complice la stagione ancora giovane, è deludente per mancanza di insetti e di pesci. Cena al volo e nanna.


Il giorno successivo si manifesta sommessamente e delicatamente con il ticchettio argentino della pioggia sul tetto del cottage. Ci stava, era nell’aria. Con una giovane fidanzata non ci sarebbe storia, ma il WM non è il mio tipo anche se sta rimettendo su le tette.
Ne approfittiamo per una megacolazione, per una nuova visita al solito negozio da pesca, con incetta di ninfe locali, micidiali per rapidità di affondamento visibilità e costo (i furbastri poi ti vendono in abbinamento l’imprescindibile filo dello 0,09…).
Sessione sotto la pioggia, solite bollate tanto rade quanto possenti e trote totalmente indifferenti ad ogni genere di presentazione di imitazioni.
Un po’ di costruzione e quindi una puntata a vedere la parte alta nei pressi di Fontane de Vaucluse dove la Sorgue nasce in un tripudio di acqua che sgorga da tutte le parti.



Posto da favola, bucolico, forse anche un po’ più facile, peccato si peschi tra la folla. Un paio di fario rubate tra un cortile e l’altro tra quelli che hanno un richiestissimo affaccio sul fiume.
Poi il tempo si rimette al bello e pertanto ritorniamo a valle dove personalmente inanello le due ore più fruttuose in assoluto.
E’ pomeriggio pieno, il sole è caldissimo, non c’è vento, le mosche di maggio schiudono in abbondanza.


Appostato tra un canneto, trovo un paio di corridoi di lancio che mi consento di fare arrivare la mosca a monte e a valle con una certa precisione e correttezza di presentazione.
L’imitazione è quella giusta, fatta al mattino, mentre pioveva, e tarata su ciò che si era osservato.
Imitazione leggera in alce e cdc e due giri di gallo. Funziona, gli piace alla grande.


In due ore aggancio cinque trote, tutte tigré. Due le porto a riva, sono le più piccole, saranno sui 30/35 cm, una la strappo mentre cerco di forzarla per non farla andare tra i rami sommersi che mi stanno di fronte, due, e sono due splendide trote abbondantemente sopra il chilo si sganciano a metà strada, lasciandomi sbigottito.
Solo dopo aver perso la seconda mi accorgo che probabilmente la prima mi aveva aperto l’akita dell’8. Penso ad Andrea, sono 10 anni che ripete “setting the hook”, ma ha predicato a vuoto!


Il coup de soir andiamo a farlo a valle della tenuta Mayer nel “gros bras” della Sorgue.
Raramente ho visto un tratto di fiume più bello. Portata imponente in un contesto di assoluta bellezza e qualità.
Ho tirato due ore filate a un temolo o era una trota, non lo so, che regolarmente bollava in corrente.
Avrei scommesso che, data la posizione, facile per il lancio e al sicuro da ogni strano dragaggio, e data la certezza del cibo (mayfly) l’avrei seccato al primo colpo. Invece nulla.
Un solo rifiuto su una red spinner, messa quando il nervosismo da indifferenza mi aveva portato a cercare soluzioni irrazionali. Valli a capire.


Andrea poi era leggermente upset. Dopo un paio di tocche a ninfa, doveva ancora togliersi il pesante cappotto francese. Ciò nonostante non mi malediva per avergli proposto la Francia invece della facile Slovenia, e devo dire che la sua ostinazione mi ha colpito e alla fine l’ha premiato.
L’ultimo giorno ho fatto una vaccata. Nonostante vigesse il divieto di pesca al temolo per ancora una settimana, non mi sono trattenuto dal partecipare allo sport nazionale ossia quello di presentare una di quelle micidiali ninfette colorate ad una di quelle ombre blu tra le alghe del fondo, ed in un paio di occasioni, con mio sommo stupore, le ombre blu si sono lasciate tranquillamente allettare. Frutto del lungo divieto o del solito culo del forestiero? Boh!


Comunque che temoli, colori spettacolari e taglie oversize (quelle viste of course, perché come sempre quelli catturati stanno nella media…).
Andrea ha chiuso l’ultimo giorno con il grande slam, fario, iridea (da dove sarà mai spuntata?) e temolo.
Lui è un diesel, viene fuori alla distanza!


Il breve tour ci ha solo consentito di intuire le potenzialità del luogo.
E’ un mare d’acqua che sgorga a meno di 100 mt sul livello del mare, anzi a pochi chilometri dallo stesso. Pesca libera, costi irrisori (sedici euro all’anno se di ha il permesso francese), parecchia frequentazione PAM (e non solo), pesci di una difficoltà unica, perché nati cresciuti e pesantemente pescati nel fiume.
Un fiume vero, un fiume da PAM, dove il cappotto è all’ordine del giorno, ma dove la trota della vita è dietro l’angolo, e spesso si fa vedere.
Dove una cattura non è mai casuale, ma la summa di una serie di azioni fatte bene.
Dove si ha davvero la sensazione e l’orgoglio di pescare a mosca.
Tre giorni di pesca con Andrea, 10 ore d’auto, non una parola su Pipam, sul forum, sulla concorrenza.
Solo Pam, semplice pura e vera PAM.
Ci voleva!



Beppe Saglia



© PIPAM.com

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