Noi torniamo sempre all’acqua
John von Düffel
Noi torniamo sempre all’acqua Mondadori, Milano 2000 (tit.orig. Vom Wasser, DuMont Buchverlag, Köln 1998). A cura di Marco Baltieri
![]() Vi ricordate le indimenticabili parole finali di In mezzo scorre il fiume di Norman Maclean? Alla fine tutte le cose si fondono in una sola, e un fiume la attraversa. Il fiume è stato creato dalla grande alluvione del mondo e scorre sopra rocce che sono le fondamenta del tempo. Su alcune di queste rocce sono impresse gocce di pioggia senza tempo. Sotto le rocce ci sono le parole, e alcune delle parole appartengono alle rocce. Sono ossessionato dalle acque. Anche in questo Noi torniamo sempre all’acqua, dello scrittore tedesco John von Düffel, si parla di un simile rapporto particolare con l’acqua e con i fiumi. Questa volta non siamo più nel Montana, ma in Germania. Noi torniamo sempre all’acqua, dice un uomo, un pittore, nel momento in cui torna solo. Non sono una persona particolarmente credente - afferma la voce narrante - Per le grandi esegesi sui massimi sistemi non sono mai riuscito a entusiasmarmi. La gente che si infervora volendo convincermi di qualcosa l’ho sempre sentita estranea. Non mi sono neppure dato la pena di essere un ateo come si conviene. Al contrario. Ho evitato tutte le discussioni, perché ho sempre pensato, e lo penso ancor oggi, che prima di argomentare di metafisica bisognerebbe osservare con più attenzione il cosiddetto mondo visibile. E in un certo senso era proprio ciò che diceva quella frase. Non parlava della potenza di un Dio o dell’operare di energie invisibili. Parlava della forza dell’acqua. Che, adesso lo so, è una forza percettibile, reale. Questo libro è un tentativo di capire. E’ il libro di qualcuno che ritorna sempre all’acqua, , e il tentativo di comprenderne la ragione. Nel corso di questo libro, durante la stesura di questo libro, passerò molti giorni e notti sulle rive dei fiumi e guarderò l’acqua. Mi ricorderò di molti giorni e notti trascorsi nelle vicinanze dell’acqua. E forse alla fine mi siederò sulla sponda di un fiume, guarderò l’acqua e capirò. Il libro è la storia di una famiglia: il trisavolo aveva comprato una tenuta, dal nome profetico “La Sfavorita”; una terra tra due fiumi, l’Orpe e la Diemel, l’uno oscuro e impetuoso, l’altro chiaro e ruscellante. Tra i due fiumi viene impiantata una fabbrica, una cartiera; la forza dell’acqua viene piegata alla produzione e al denaro: l’acqua nera crea, quasi misteriosamente, la carta bianca. L’acqua possiede ancora, in questa specie di “preistoria” industriale”, dei poteri oscuri: l’Orpe nasconde nelle sue profondità l’Uomo-Rastrello che, non a caso, rapisce una notte il fondatore della cartiera. Il figlio è diverso da lui, una mente matematica che tutto riduce a calcolo e misura, anche l’acqua, che verrà incanalata e “domata”, quasi chiusa nei libri mastri della contabilità. Le fortune della dinastia sembrano così proseguire, ma la seconda guerra mondiale si porta via gli eredi designati, lasciando come successore recalcitrante un figlio un po’ storpio, per nulla interessato alle fortune dell’industria, ma tutto preso da colori e pennelli con cui cerca di catturare luci e atmosfere di quei fiumi che circondano “La Sfavorita”. E nel riflesso rosa salmone della luce sopra lo scivolare dell’acqua nera le trote sarebbero emerse cercando di acchiappare le mosche ebbre di giorno, che si erano posate con ali stanche sulla pellicola argentea della superficie. E il colpo delle pinne caudali avrebbe schioccato sopra la corrente silenziosa come i colpi di una frusta nell’aria afosa, per poi rispecchiare il fulgore incandescente della luce nei cerchi d’acqua causati dall’affioramento, finché sarebbero svaniti nel moto uniforme della corrente. E questo lui aspettava, con in mano pennelli e matite, chino sul suo blocco da disegno, aspettava la luce giusta. Il pittore storpio è costretto a lasciare la sua ricerca della luce e dell’acqua, deve far violenza a se stesso, diventare capitano d’industria, piegarsi alla monotonia dei bilanci e dei numeri. Ma il richiamo del fiume è irresistibile, dalle finestre del suo ufficio vede il riflesso delle schiuse di effimere nella luce radente della sera. D’ora in poi risponderà al richiamo del fiume con il ronzio delle lenze saldamente fissate che venivano tese dai mulinelli rotondi mentre le canne eseguivano le loro sferzanti oscillazioni nell’aria sibilante. E la lenza che vibrava nell’aria diventava sempre più lunga, sempre più artistici diventavano gli ampli movimento rotatori e gli ovali che descriveva, finché la canna si piegava sopra l’acqua, si bloccava nel mezzo del movimento e faceva scattare in avanti la lenza sibilante nel pieno del suo slancio, la lanciava con un fischio in tutta la lunghezza con cui si posava poi senza rumore sulla superficie e galleggiava e teneva sopra l’acqua il terminale quasi invisibile, alla cui estremità era fissato l’amo che imitava una mosca, ingrassato e piumato. La scoperta di questa nuova forma d’arte gli permetterà non solo di resistere nel nuovo ruolo, ma anche di trovare un amore insperato (lui storpio) nella giovane sguattera che ogni mattina pulisce e lava con le sue mani abili le trote catturate nel fiume. Questo incontrarsi dei due estremi della scala sociale della “Sfavorita” è anche l’inizio di una fase nuova di questa storia: finisce la seconda guerra mondiale, non ci sono più eredi maschi per questa dinastia industriale, la cartiera in piena espansione viene assorbita da aziende più grandi e aggressive, la famiglia si disperde tra città lontane, America e Irlanda. L’ultimo erede della famiglia (la voce narrante) torna un’ultima volta a rivedere la terra tra i due fiumi, tra Orpe e Diemel: è l’occasione per lasciare libero corso all’onda dei ricordi, ricordi non solo visivi, i gorghi e i rigiri dell’acqua, ma anche olfattivi, quell’odore di trota argentato e setoso, che rimaneva anche dopo anni sulle impugnature di sughero delle canne da mosca. Questo romanzo è stato paragonato ai Buddenbrook di Thomas Mann, il suo autore ha ricevuto premi prestigiosi ed è considerato uno degli scrittori più interessanti della nuova letteratura tedesca. A noi basta anche solo pensare che in questo libro la pesca a mosca trova non solo un interprete di talento, ma anche quel giusto posto, che tutti le riconosciamo, ai confini tra arte e natura.
Marco Baltieri
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