USA - Alaska e Montana (parte 2)

Ovvero: due è meglio di uno! 
  Giugno 2000 di Angelo Piller (Angelo)

Così lasciammo l’Alaska e poi una volta arrivati a Seattle salutammo anche gli amici americani che ci guardavano un po’ invidiosi; per loro la vacanza era finita, mentre per "The Italians" c’era ancora tanta acqua da conquistare…e molta fame di schiusa......
 15/06/00
di Angelo Piller
el.foto Paolo di Lernia

Ovvero: due è meglio di uno!

Quando il gioco si fa duro...

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Così lasciammo l’Alaska e poi una volta arrivati a Seattle salutammo anche gli amici americani che ci guardavano un po’ invidiosi; per loro la vacanza era finita, mentre per "The Italians" c’era ancora tanta acqua da conquistare…e molta fame di schiusa.

THE BIG HORN

Il Big Horn era un mito prima di bagnarci le mie mosche e tale è rimasto dopo quasi sei giorni di pesca. Immaginate un grosso fiume, più o meno largo dai sessanta ai cento metri, che come nel classico scenario da film western, scorre attraverso la prateria, alternando lame infinite a correntine vivaci. Perfino la Simms ha scelto la foto del Big Horn (Park Avenue, che noi chiamavamo Drive Inn) per pubblicizzare i suoi prodotti.

Secondo gli esperti del settore, è sicuramente di uno dei primi tre fiumi per la pesca a mosca negli Stati Uniti. Se proviamo a pensare al numero spropositato di acque presenti in questo stato, non è certo un valore da prendere sottogamba, tanto che per molti questo "mito" rientra sicuramente nella top 10 mondiale dei migliori itinerari per il fly fishing.

Come la maggior parte delle acque del Montana, anche il Big Horn nasce in Wyoming e buona parte dell’acqua viene utilizzata lungo il suo corso per irrigare le vaste pianure circostanti. L’enorme diga alta quasi 160 metri sta all’origine della fama di questo fiume. Infatti, senza lo sbarramento artificiale non si parlerebbe di tailwater, l’acqua risulterebbe troppo calda e non ci sarebbero le trote. Invece l’acqua di fuoriuscita è GELIDA, e l’uso di waders o tute termiche appropriate diventa un obbligo.


In pesca sotto la pioggia.

Inoltre, proprio grazie alla diga, il fiume non soffre più di tanto del run-off primaverile e nemmeno improvvisi diluvi. Ricordo benissimo la fitta pioggia che ci accompagnò tutta una notte e poi il giorno dopo sul fiume, tanto che si temette per i livelli che però…rimasero praticamente inalterati. Proprio perché il Big Horn è un fiume famoso, non ci si può certo aspettare di essere gli unici pescatori, soprattutto durante il mese di maggio ritenuto da molti il periodo migliore in assoluto. I moschisti che frequentano questo fiume sono davvero tanti, ma la cosa bella è che difficilmente ci si darà fastidio l’uno con l’altro, proprio perché l’alveo è talmente largo e vasto da consentire a tutti di pescare liberamente e soprattutto senza disturbare troppo il pesce. Il costo del permesso è ridicolo se paragonato a quello dei nostri fiumi più blasonati: trenta dollari per sei giorni di pesca!

Per quanto il fiume sia veramente grande (mi ricordava vagamente il Ticino), parecchi punti rimangono guadabili e si possono pescare lasciando la barca a riva o su qualche isolotto di sabbia. In questo modo possiamo poi spostarci e pescare nelle zone che più ci attraggono, magari perché prima da riva vi abbiamo individuato alcune bollate.

Il tratto pescabile ha inizio appena sotto la diga dove si trova il boat ramp. Da qui, infatti, si parte con la barca, per terminare la discesa dodici miglia più a valle presso il twelfe miles access.
Il Big Horn.

Se si hanno a disposizione più giorni di pesca, conviene prima sondare bene la zona di fiume che va dalla diga al three miles access, ed il giorno dopo partire dal three miles per arrivare fino in fondo. Il fiume è talmente grande e ramificato che ci vorrebbe almeno un mese di pesca continua per iniziare a conoscerlo in modo sufficiente.

Con qualche consiglio delle guide, è perfino possibile pescare con successo da riva senza noleggiare la barca. Proprio il sesto giorno, dovendo partire all’una di pomeriggio per prendere l’aereo che ci avrebbe portati a casa, abbiamo pescato tre ore vicino al primo punto d’attracco, il three miles access. Sono stati momenti memorabili in cui le trote si sono dimostrate meno selettive del solito e ci hanno regalato un elevatissimo numero di catture, tutte a secca!


LA CASA NELLA PRATERIA


Negozi e Motel.

Il luogo circostante il fiume è il paradiso del pescatore a mosca. Chi si ricorda Lucignolo che trascina senza troppo faticare Pinocchio nel Paese dei Balocchi? Ebbene, il Paese dei Balocchi dei pescatori a mosca è situato attorno al Big Horn e l’atmosfera di spensieratezza è la stessa della favola di Collodi! Tutta la zona pullula di lodge, noleggio barche, pub per moschisti, negozi super lusso per la pam, ma anche piccole botteghe del pescatore a mosca in cui si possono fare gli acquisti migliori. Infatti, i negozi più appariscenti sono studiati per quei turisti-pam dell’ultima ora che con poca esperienza alle spalle sono disposti a bollare su tutto ciò che luccica.

Per quanto riguarda la "casa nella prateria", questa era addirittura fantastica: cucina, salotto con divano e TV, due bellissime ed ampie stanze ed un bagno. In quest’ultimo, proprio di fronte alla "tazza", si trovava un grosso scaldabagno, che i proprietari avevano trasformato, grazie ad una coperta e ad una maschera, in un gigantesco capo indiano che ti osservava imperturbabile mentre cercavi di concentrarti sui compiti di primaria importanza.


La casa nella prateria, fumando la Maria

Intorno alla casa si stendeva una vastissima pianura che si increspava lontana, dove iniziavano le colline. Mancavano solo i segnali di fumo.

Tornando al discorso iniziale, sembrava di essere nel paradiso del pescatore a mosca, in cui andare in giro indossando waders e scarponcini era la cosa più normale al mondo. Da "Polly", poi, faceva pensare ad un saloon, solo che invece dei cow-boys, era tutto un vociare di guide e pescatori che sebbene stremati dalla lunga pescata, stavano seduti a mangiarsi una bella bistecca, discutendo di finali, di mosche e della schiusa quotidiana. Quest’ultima superava in importanza le notizie che provenivano dal mondo esterno. Nel "saloon" abbiamo fatto la conoscenza di Brad, il capo delle guide che ci avrebbe affidato per due giorni al meglio del suo staff.

Certo, da Polly c’era l’atmosfera giusta, la gente giusta, il cibo giusto, e forse l’unica cosa che veramente stonava era il sorriso della cameriera, suppongo mezza indiana, dal quale (quando sorrideva) faceva capolino, proprio tra i due denti superiori, qualcosa che aveva l’aspetto di un ciuffo d’insalata, trascurato chissà per quale motivo dallo spazzolino da denti. Non ebbi l’impressione che "Ciuffo d’Insalata" con noi si divertisse un mondo, ma noi con lei sì, e questa era l’unica cosa che contava veramente.

Entrammo così, seppur per un periodo limitato, a far parte di questa favola con la stessa facilità con cui una fario del Big Horn "aspira" un’effimera durante la super schiusa dell’una del pomeriggio: ovunque si venga a trovare, le basta aprire la bocca.


TROTE!!!!


Catture.

(FOTO CATTURA) Rafa?

Klint, la nostra guida, ci raccontava che quando ancora non esisteva la diga, il fiume era solamente un lento corso d’acqua quasi stagnante, in cui le trote non sarebbero potute sopravvivere. Immediatamente dopo la costruzione della diga (1965), si era formata una discreta popolazione di rainbow dalle notevoli dimensioni, anche perché gli indiani Crow ne proibivano la pesca. Dopo una lunga battaglia legale terminata il 1981, il fiume fu aperto al pubblico ed il numero delle iridee calò drasticamente, mentre le fario si fecero sempre più numerose.

Un problema che affligge le trote del Big Horn, o meglio i pesci che stazionano vicino alla diga, è quello della saturazione da idrogeno, dovuta al fatto che l’acqua di prelievo, cadendo dall’alto, si ossigena molto e può quindi causare lesioni alla pelle dei pesci.

Il censimento dei pesci del Big Horn ha stabilito che la popolazione di trote sopra i trentatré centimetri, è di tre o quattro volte superiore a quella della maggior parte degli altri fiumi top degli USA, con una media tra i trentacinque ed i quarantacinque centimetri. Non è inoltre troppo raro avere a che fare con esemplari al di sopra dei cinquanta centimetri.


Un’iridea dai colori unici!

Si è inoltre accertato che la densità dei pesci è di almeno otto/novemila trote ogni miglio di fiume, il che significa che in duecento metri di fiume si può far conto sulla presenza di mille e passa trote! Sempre secondo Klint, il Big Horn è popolato da quattro specie diverse di iridee. Io stesso ho avuto modo di catturarne alcune dalla livrea diversa l’una dall’altra, pesci che si distinguevano anche durante il combattimento: talune si arrendevano quasi subito, mentre altre ti rubavano caparbiamente parecchi metri di coda. Due, tre volte sono "arrivato" al backing.

Abbiamo catturato trenta/quaranta pesci al giorno e la taglia media era sui trentotto/quaranta centimetri. Credo che ciascuno di noi sia riuscito a salpare almeno una trota sui cinquanta centimetri. Durante i sei giorni di pesca passati sul Big Horn, ho avuto anche la possibilità di osservare la numerosa frega di una specie di iridee, uno spettacolo che da noi in Italia e probabilmente anche in Europa è pressoché impossibile da trovare.


SCHIUSE & MOSCHE

Assistere ad una ad una mega-schiusa di effimere in acque così ampie non capita tutti i giorni; quasi un tappeto di insetti, tale era l’intensità della schiusa, e le bollate certo non si facevano aspettare. Potrei descrivere la situazione in più fasi:

  • Fase uno: qualche bollata preannuncia il disastro.
  • Fase due: la cattura di qualche bella fario ci fa pensare che poi in fondo, tecnicamente non siamo così male.
  • Fase tre: le bollate aumentano, così come il numero degli insetti presenti sullo specchio dell’acqua. Le trote si fanno difficili ed è sempre più raro ferrarne una.
  • Fase quattro: le effimere fanno a gara con le molecole d’acqua a chi è più numeroso. Le bollate continuano ad imperversare, ma non si cattura più nulla se non per puro caso. D’altronde se osserviamo attentamente il punto in cui la nostra mosca si è adagiata, possiamo notare che questa è completamente circondata da uno stuolo di effimere vere.

Uno dei momenti più impegnativi

Prima che l’acquolina rischi di andarvi di traverso, ci tengo a precisare che la situazione appena descritta avviene in alcune zone del fiume, in quegli angoli in cui l’acqua scorre più lenta e le trote vi si concentrano in previsione del facile bottino.

Il Big Horn, durante il mese di maggio, è l’itinerario adatto per due categorie di pescatori a mosca: gli amanti della pesca a ninfa o appena sotto il pelo dell’acqua (in nessun altro fiume ho assistito a trote in "tailing" come qui sul Big Horn), e gli appassionati della secca che vogliono confrontarsi con avversari che senza mai risparmiare sulla "bollata" si dimostrano in ogni modo essere pesci con la P maiuscola. Una cosa non proprio comune, era il modo in cui alcune trote bollavano: verticalmente, nel senso che vedevi spuntare dall’acqua la bocca del pesce che poi ridiscendeva a "candela".


Due dressing consigliati dalle guide.

Per quanto riguarda le mosche da usare durante il periodo primaverile, per le secche andranno benissimo le imitazioni di effimera di taglia media piccola (20, 18,16) tendenti al grigio/oliva. Tra i modelli consigliati, spiccavano le piccole Adams e Blu Dun con le quali ho catturato alcune bellissime fario, e le imitazioni di chironomi ed effimere muniti di finta esuvia.

Mi accorsi poi che i pescatori del posto non conoscevano appieno i benefici influssi che solo una buona dose di cul de canard è in grado di apportare, e questo fatto rese le mie mosche in CDC ancora più appetibili, perché le trote ne erano altrettanto all’oscuro. La presenza di chironomi non era meno impressionante di quella delle effimere; si pensi che vicino a riva l’insieme delle esuvie si raccoglieva in una sorta di palta galleggiante! La taglia di questi ultimi variava dal 24 fino anche al 16.


L’USO DELLA "GUIDA"


Smiley.

Solitamente la giornata con la guida si svolgeva in questo modo: con la barca si discendeva il fiume e ci si fermava nei tratti che il nostro esperto considerava adatti. Questo per quanto riguarda il nostro caso, perché invece gli americani pescavano dalla barca con la guida che remava come un matto in modo da non far loro dragare lo strike indicator. Spesso abbiamo sentito l’urlo della guida che comandava così la ferrata all’americano poco avvezzo alla pesca a mosca. Dobbiamo tenere conto, che qui negli USA la maggior parte dei "clienti" appartiene alla categoria dei "disastri" e non bisogna stupirsi troppo se inizialmente la guida pretende di legarti la mosca al finale. Anzi, la prima cosa che farà sarà quella di prendere quel finale che ti sei accuratamente preparato per pescare nel Big Horn, e distruggertelo davanti al naso per annodarvi, su ciò che è rimasto, un terminale nuovo da lui improvvisato sul momento. E’ quello che è successo a Paolo, dopodiché Klint si voleva divertire anche con il mio finale, ma mi sono rifiutato di porgergli la canna, rassicurandolo comunque che ci avrei pensato io ad aggiungere al tippet una montatura del tutto simile a quella fatta al mio amico.

Una guida "DEVE" fare in modo di farti prendere il pesce (è il suo lavoro), e l’unico modo che considera valido è il suo.

Così, eccoci nei momenti della grande schiusa montare le sue mosche, tutte validissime certo, ma il tarlo della convinzione mi rodeva sempre più, e si sa che la fiducia nella mosca è una componente essenziale per l’esito finale dei nostri lanci. Accadde che non appena Klint si allontanava dal sottoscritto per andare da Paolo, io subdolamente cambiavo mosca alla velocità della luce, legando al finale un piccolo insetto in cul de canard.

Una buona guida è però anche una persona che capisce al volo quando rischia di diventare invadente, ed anche il bravo Klint alla fine si sedette sulla barca osservandoci soddisfatto.

Ad un’ora imprecisata, da un reparto dell’imbarcazione saltava fuori di tutto, panini, pasta, riso…coca cola, aranciata… ed anche quei momenti, in cui con la barca arenata in mezzo al fiume sotto un cielo terso mangiavamo il nostro pranzo, rimangono un bellissimo ricordo. Klint poi, sorrideva sempre ed in seguito venimmo a sapere che il suo soprannome era Smiley.

La guida è comunque importante, indipendentemente dall’abilità alieutica dei suoi clienti, perché conosce i corsi d’acqua, le trote, gli insetti e ti permette di "capire" la logica del fiume consegnandoti la chiave di lettura per espugnarlo. A pescare però ci devi pensare tu, perché se no non è una guida, bensì un baby-sitter e tu non sei un pescatore a mosca, bensì un imbranato!


Dome dà la mancia a Erik.

In tutte quelle situazioni in cui si pesca per la prima volta in uno di questi vasti fiumi a noi sconosciuti, una guida può essere molto utile, almeno durante le prime uscite. Poi ci si può benissimo arrangiare da soli, ed è quello che abbiamo fatto in seguito. Inoltre, è buona norma a fine giornata dare sempre una mancia, soprattutto se l’uscita di pesca è stata formidabile. Alla nostra demmo venti dollari che secondo i canoni classici non sono nemmeno tanti. Quando la sera poi chiesi a Domenico e Raffaele cosa avessero dato ad Erik (la loro guida) dopo la strabiliante giornata, Domenico mi guardo’ mezzo sorpreso e mi rispose: "…una forte stretta di mano!"


TECNICA & TATTICA

La nostra esperienza risale a quello che per molti è il periodo migliore delle schiuse di effimere e midges, vale a dire all’incirca metà maggio. A coloro che volessero ripetere la nostra avventura, consiglio di portarsi dietro quantomeno una nove piedi coda cinque (io usavo una Sage RPL+) e coda decentrata ovviamente galleggiante. In questo modo sarete in grado di gestire sia le situazioni che prevedono la ninfa, sia quelle prettamente di superficie. Se non volete perdere troppo tempo, vi suggerisco di portarvi direttamente in barca due canne già montate: la prima per la ninfa, la seconda per la secca. In questo caso, se preferite, potrete divertirvi con la secca utilizzando canne più corte e code leggere, anche se per i lanci lunghi sarete un po’ più in affanno (a meno che non siate lanciatori straordinari).

Sicuramente l’uso dello strike-indicator consente un elevato numero di catture, sempre però se ci si destreggia con il mending, o se qualcuno con l’aiuto di barca e remi si "destreggia" al posto tuo. Anche nei momenti morti rimane la certezza di un dato praticamente inconfutabile: la densità di trote per miglio che non lascia troppi dubbi. A questo proposito mi viene in mente un episodio che la dice lunga sulla presenza di pesce nel fiume: Klint accompagnò Paolo presso un correntino mediamente profondo e lanciò nel mezzo della corrente. Non appena le ninfette affondarono iniziò a contare: "One, two, three…" ferrando arrivato al tre. Il pesce era in canna!

"Ci avrà avuto culo" disse Paolo mentre si apprestava a lanciare nella medesima corrente. Alle sue spalle intanto Klint aveva iniziato a contare: "One, two, three" e Paolo obbedendo ad un ordine superiore, meccanicamente ferrò al tre…trovandosi una bella iridea in canna e guardando Klint come se fosse dotato di poteri soprannaturali. La cosa si ripeté ancora due volte, ma quando dopo il terzo lancio Paolo sbagliò a fare il mending, Klint gli preannunciò in anticipo che in quell’occasione non avrebbe avuto attacchi, e…così fu. Certo, la tecnica è importante, ma comunque la regola principale rimane quella della conoscenza del fiume in cui si va a pescare. Brad ci aveva confessato che Klint lavorava per più di duecento giorni sul Big Horn come guida, e che quando si prendeva qualche giorno di ferie, andava a pescare…sul Big Horn! Mi dava l’idea di essere la persona più felice e spensierata al mondo.


Momenti di pesca.

La pesca a ninfa, come ho già accennato è molto redditizia. Le ninfe consigliate dalle guide sono tutte di taglia media piccola. La tecnica adottata è quella del "Two flies rig" chiamata qui da noi anche "trappolino" o "Passera Methode". Consiste nel legare alla curvatura dell’amo della ninfa un secondo spezzone di filo alla cui fine sarà annodata un’altra ninfa. La combinazione si può fare anche tra secca (che si trasforma in una sorta di strike) e ninfa o addirittura con due secche, magari di colore diverso per poi identificare su cosa stanno salendo le trote. Per la pesca a ninfa, il finale originale consigliato da Klint prevedeva l’innesto di un micro piombino venti centimetri sopra la prima ninfa. Le ninfette, entrambe costruite su ami del diciotto/venti, non erano piombate. Uno strike- indicator posto ad una distanza regolabile a seconda del fondo faceva il resto.

Pescare con lo strike-indicator non è difficile, pescare bene con lo strike non è così facile: presuppone il continuo studio delle correnti in superficie e di conseguenza una moltitudine di mending il cui scopo è quello di evitare di far dragare le ninfe.

Per quanto riguarda i terminali, le guide fanno uso di uno 0,12/0,14.

Io consiglio per la secca un buon 0,10 o se proprio non si vuole rischiare uno 0,12, mentre per la pesca a ninfa seguirei i consigli di Klint.

Così finisce anche l’esperienza sul Big Horn, sicuramente più che positiva e densa di emozioni e catture. Un fiume come questo prima o poi va "provato", anche perché in Italia non mi viene in mente nessun altro corso d’acqua con delle caratteristiche anche solamente simili. Tornarci è un obbligo!


CONCLUSIONE

Certo, credo che si raggiungerebbe il massimo con "tre è meglio di due", ma ci avvicineremmo parecchio ad uno di quegli episodi di "Ai confini della realtà" in cui quattro pescatori a mosca sarebbero condannati ad un viaggio di pesca dopo l'altro per tutta l'eternità. Lo so, non ci sarebbe condanna più gradita.

Ogni fiume lascia in noi una traccia, e sono solitamente le prime uscite, quelle in cui si impara lentamente a conoscere le sue acque, scoprirne i segreti ed il carattere, a rimanere impresse nella memoria. Proprio adesso che ho quasi concluso l’articolo, le immagini dei momenti più belli mi riaffiorano più vive che mai, e se potessi ripartirei subito. Nell’attesa di un prossimo viaggio, non ci resta che continuare a sognare quei luoghi fantastici e selvaggi, in cui ogni cattura ci riempiva di soddisfazione.


Sognando ...

La bellezza dei posti visitati, i momenti più esilaranti tra amici e gli istanti passati su fiumi dalle caratteristiche e dai pesci unici, non fa che confermare l’idea che ne vale sempre la pena. Abbiamo spaziato dalle coriacee steelhead alaskiane, alle intriganti trote del Big Horn: due situazioni completamente diverse così come le acque ed i luoghi in cui ci siamo impegnati, …pesci differenti sia come comportamento, sia come stazza, ma sempre un'unica grande passione, la pesca a mosca!

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Angelo Piller

© PIPAM.com

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