FRA - Lago Grenuilles

Francia 11/08/04


di Beppe Saglia

Parco del Mercantur


Non vedevo l’ora di incontrarlo, dopo averne ripetutamente sentito parlare da un vecchio socio del Club, che ne era profondamente legato. Franco, così si chiamava, ora aveva smesso la canna da mosca per tornare a quella fissa. Ma le ultime cartucce PAM le aveva dedicate a questo lago. E’ curioso come posti sconosciuti che non catturerebbero l’attenzione nemmeno di un novizio, possano, ricorrendo assillantemente nei racconti di metà settimana, qualificarsi, sino a diventare mete irrinunciabili.
Quel sabato mi alzai di buon ora. La Palù l’avevo già preparata alla sera, con su il Vivarelli. Avevo pulito e ingrassato la coda, cambiato il finale, addirittura legato la mosca. Era la mia attrezzatura da montagna, comoda da mettere nello zainetto con il Kway, il giubbotto, la pila, lo straccetto di tela per i pesci, un panino di salame e una birra.

  

Lasciai la macchina all’ingresso del Parco del Mercantur e cominciai a salire. Un’oretta di camminata rilassata lungo un comodissimo sentiero praticabile con i fuoristrada dei guardaparco e con la scassatissima Renoult 14 del malgaro. Paesaggio bello, ma sentivo che mi mancava qualcosa. Non c’era il rumore dell’acqua che normalmente mi accompagna nelle salite, in quanto non si risale un vallone, ma una costa. L’ultima parte di ascesa taglia dal comodo sentiero per arrampicarsi direttamente su una rotonda duna dove gli ultimi abeti lascino campo libero ai pascoli ed alle pietraie. Le marmotte sono comuni, nemmeno troppo sospettose, dopo aver preannunciato la loro presenza con il tipico fischio, lacerante e un po’ inquietante.
In punta la vista, sfuocata dalla sforzo dell’ascesa si ritempra immediatamente nella visione di quel gioiellino di acqua verde incastonato tra le rocce.


Era tutto un pullulare di bollate. L’eccitazione frenata solo dalla consapevolezza della difficoltà della pesca in lago. Montai e lanciai quello che mi aveva consigliato Franco, una formica sul 18, e un secondo dopo sbagliavo la prima trota. Non me l’aspettavo, non così subito. Amaro in bocca, ma anche eccitazione. L’attività continuò, anche se più lontana da riva, quasi fossero state avvisate del mio arrivo. Il lancio non era agevole, in quanto pur non essendoci molti alberi, si è parecchio ostacolati, nella distensione della coda alla spalle, dalle rive abbastanza scoscese. Mi ci volle più di un’ora per prenderne una: livrea molto bella ma taglia decisamente ridotta. Il pomeriggio passò tra qualche cattura, qualche rifiuto, aumenti e cali di attività, con la certezza crescente che l’amico ci avesse messo molta fantasia nei suoi coinvolgenti resoconti.
Ma quando il sole cominciò a giocare da vicino con le vette più alte, una bollata diversa da tutte le altre, un risucchio possente, attirò la mia attenzione. E subito dopo un’altra e poi un’ altra ancora. Mi resi rapidamente conto che non erano tante trote improvvisamente uscite, ma una sola, che stava compiendo il suo giro di perlustrazione.


Era lontana, quasi a centro lago, quando cambiò direzione, fece un ampia curva continuando a bollare e riprese la direzione verso la parete a picco della montagna, da cui era uscita. Mi spostai di corsa al punto dove pensavo di poterla intercettare, l’aspettai, stava arrivando, lanciai. Vidi la schiena delinearsi sotto la superficie, mentre saliva verso la mosca, sarà stata un chilo. Gli arrivò a pochi cm, stavo già per ferrare, ma la vidi riabbassarsi, proseguire e continuare in altre bollate ormai fuori dalla mia portata. Il cuore mi batteva ancora a mille quando guardai l’ora e decisi che era il momento di tornare.
Era un inizio agosto dei primi anni ottanta.
Quell’anno ci sono tornato altre cinque o sei volte per cercare di prenderla e la presi. E’ stato anche uno dei primi, forse il primo pesce bello che ho rilasciato in un acqua libera, mosso da un gesto naturale, non ancora frutto di convincimenti e regolamenti.


Cosa è cambiato in tutti questi anni? Quasi niente fortunatamente. Il malgaro è sempre là, a chiedersi cosa ancora, contributi comunitari a parte, lo spinge a vivere diversi mesi dell’anno tra fatiche arcaiche che solo il cielo terso, le vette i profumi di rododendro e di lavanda rendono più accettabili. Qualche villeggiante della domenica in più, qualche fuoristrada che si inerpica per la strada ora un po’ più accessibile. Pescatori pochi, ieri come oggi. Fino a quando esisteranno le dighe raggiungibili in macchina e ripopolate ad arte, questi ultimi baluardi di natura incontaminata restano sufficientemente risparmiati dalle orde barbariche dei consumatori di natura della domenica. Non ricordo di aver mai incontrato un moschista su quel lago. Solo qualche francese col verme e con il bulbo, che non riescono a rinunciare a portarsi a valle quelle quattro trotelle appena di misura, quelli che ancora ti guardano strano quando ti vedono montare una mosca finta invece che una camola viva in punta alla lenza.


Io ci vado quando d’estate, ed in particolare se ricorre uno dei seguenti motivi:
1) Devo rifornirmi dell’ottimo formaggio di alpeggio che il malgaro del posto produce.
2) Ho almeno mezza giornata a disposizione e voglia di fare una sana camminata, canna in spalla.
3) C’è poco vento.
4) Sono particolarmente masochista.
Di solito ci vado a luglio e agosto. Il mattino è ottimo, così come la sera tardi, però volendo evitare il ritorno a buio fondo con la torcia elettrica, finisco per pescarci nel pieno pomeriggio, periodo non ideale perché disturbato dal vento.
Quando c’è vento il pesce smette immediatamente di bollare. Come le acqua si placano l’attività di superficie riprende, costante e abbastanza intensa. Tale attività è supportata e favorita dalla folta presenza di alghe, che si estendono per un buon 20% del lago, favorite nella crescita dai rilasci organici delle mucche della malga che stabulano nelle vicinanze. L’innaturale biomassa di tale lago è peraltro riscontrabile oltre che dall’elevatissimo numero di avannotti che tra le alghe trovano il posto ideale per nascondersi e nutrirsi, dal numero, dall’accrescimento e dalla taglia delle trote, decisamente superiore rispetto agli altri laghi. La mancanza di un immissario determina altresì una temperatura media dell’acqua leggermente superiore alla media.


Le tecniche di pesca le ho provate tutte, ma al di là di catture sporadiche ho sempre avuto poche soddisfazioni pescando sotto, sia a ninfa che a streamer. Il pesce come già detto ha molte alternative alimentari ed è anche ben protetto. O dalla profondità dell’acqua o dalle foltissime alghe dove la stessa è più bassa. Ma quando bolla, e lo fa molto frequentemente, è abbastanza ben predisposto all’abboccata, sia con mosche galleggianti che con emergenti.
Oltre alle formiche che sono il piatto tipico locale, sono ottimi anche piccoli coleotteri in pelo di cervo, ditteri rossi e neri, cavallette, di cui le sponde erbose sono letteralmente ricoperte e sedge, sia in pelo che in penna, non troppo vestite e di taglia non eccessivamente grossa. Come emergenti ottimi i chironomi su ami grub con ali in c.d.c. Finali rapportati alla mosca, dallo 0,16 per la cavalletta allo 0,14 per le sedge allo 0,12 per tutte le altre. Raramente scendo ulteriormente anche se qualche lancio con lo 0,10 l’ho fatto, quando non intravedevo altre alternative. Comunque quando il giorno volge al termine e le possibilità di incontrare quella di taglia aumentano lo 0,14 è il minimo.


Come tutti i pesci di lago la bollata è poco indicativa su dove effettuare il lancio. Si sa, il pesce in lago raramente stazione a galla in una determinata posizione, ma si sposta alla ricerca di cibo. Quindi lanciare sulla bollata, ancorché istintivo è poco razionale. Meglio anticipare il pesce nel suo girovagare. Quando lo stesso ci da una indicazione precisa allora non ci sono problemi. Si tratta di stimare il ritmo di bollata e la velocità di spostamento, Purtroppo questo accade raramente, legato in genere a precisi momenti della giornata e alla taglia grossa del pesce. In ogni caso conviene anche in assenza di indicatori direzionali lanciare o da una parte o dall’altra della bollata. Almeno ci sono un 50 % di possibilità di azzeccarci.
In realtà molte meno!
Ma cosa costa in fondo posare una piuma qualche volta a vuoto se il premio è poter assistere, lassù, fuori dai rumori della vita, al ripetersi di un inganno che il passare degli anni non è riuscito ancora a rendere ne normale ne banale?



Beppe Saglia



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