PER / BOL - Amazzonia - Rio Madre de Dios

PeùBolivia   2007

Testo e foto di Ivano Mongatti (Ivano M.)




La foresta amazzonica peruviana detiene incontrastata il record della biodiversità. Migliaia di razze animali e vegetali convivono in questo santuario della natura. Incastrato tra le Ande e la foresta c’è l’ultimo avamposto dell’uomo, un luogo a metà tra città e villaggio: Puerto Maldonado. Questo agglomerato di case e strade polverose e fangose, particolare e strano, è anche il porto dal quale partono numerose spedizioni che si addentrano, utilizzando l’unica via naturale di accesso, il fiume, nel profondo del mistero amazzonico. Le ragioni che conducono in questo luogo persone da ogni dove sono diverse. Ci sono, ovviamente, gli appassionati della natura, ci sono i biologi, gli scienziati, gli antropologi, alla ricerca di popolazioni indigene totalmente o parzialmente ancora selvagge, gli amanti dell’avventura estrema, che risalgono il fiume per giorni sino a toccare altre nazioni come Brasile e Bolivia.

Vi sono, infine, i pescatori, che risalgono il Madre de Dios fermandosi solo dove questo forma le rapide, alla ricerca di un pesce predatore incredibile e potente, il Payara.
A Puerto Maldonado è possibile, grazie ad almeno 5 tour operator che hanno lì la propria sede, trovare qualche guida disposta ad accompagnarci su per il fiume alla ricerca di questo particolare pesce che, in questa zona, raggiunge taglie medie di 5-6 kg, con esemplari che spesso superano i 10.

A seconda del tempo a disposizione e del grado di “avventurosità” potremo scegliere la proposta che meglio si attaglia al nostro carattere. Tuttavia occorrerà entrare nell’ordine d’idee, se si vogliono raggiungere i luoghi abitati dal Payara, che dovremo dormire fuori, in una capanna oppure in tende approntate delle guide. Le prime rapide, infatti, si trovano a circa 16-20 ore di navigazione da Puerto Maldonado. Tutto quello che vedrete in quelle ore di navigazione vale da solo il prezzo del viaggio: milioni di uccelli multicolori, le grandi ara, i caimani, gli enormi avvoltoi neri, i capibara, le scimmie che saltano da albero ad albero, i curiosissimi tucani, le enormi e variopinte farfalle faranno trascorrere il tempo che vi separa dal campo base in un lampo.


Se ci si limita a risalire il fiume per 3 giorni, rimanendo all’interno del Parque Nacional Tambopata (metà in Perù e metà in Bolivia) sarà possibile dormire in baracche accoglienti, di cui le organizzazioni dispongono, con camere dotate di veri e propri letti con tanto di bagno. L’unico confort che manca è l’energia elettrica, per cui, quando scende la notte, la luce delle candele e delle torce elettriche è l’unica fonte capace di alleviare un buio particolarmente opprimente.
Prima di scrivere di pesca, vale la pena parlare della notte. Milioni di insetti ed animali notturni si svegliano, le scimmie gridano ed un coro infinito di rumori indistinti si materializza d’incanto non appena calano le tenebre. La baracca è sicura, ma, in un posto come questo l’uomo è costretto davvero a riflettere, a pensare a quanto possa essere caduco e piccolo il nostro posto nella natura e nel mondo. Alcuni sciamani ospitano qui i viandanti iniziandoli al rito dell’Ayahuasca, un infuso estratto dalla radice di una liana che ha poteri allucinogeni e che, utilizzata durante cerimonie molto complicate, pare avvicini l’io terreno a quello divino.
Ma veniamo alla pesca.

La pressione di pesca qui è praticamente nulla per un fiume come il Madre de Dios (2,4 km di alveo che diventano quasi 3 nella stagione delle piogge) ed è facile trovare zone che non hanno mai visto prima un pescatore sportivo, specialmente se si risale la corrente per più di 3 giorni (qui si fermano i normali turisti e anche buona parte delle “strutture ricettive” costruite per ospitarli) Da quel punto in poi vi sono solo animali e qualche sparuto gruppo di cercatori d’oro, che su zattere attrezzate a baracche, filtrano l’acqua con l’ausilio di una pompa aspirante azionata da un motore a benzina.
Eppure, anche se i payara non hanno mai visto un’esca, sono pesci incredibilmente prudenti ed interrompono la loro attività al primo segnale di presenza dell’uomo in zona. Per questo motivo i primi lanci sono spesso quelli vincenti. E’ strano, perché se si pensa alla sua mole, ai suoi denti impressionanti, alla sua voracità quando caccia, sembra che questo predatore non possa avere nemici. Ma in Amazzonia le misure sono diverse ed un pesce così è una delle prede più ambite dai caimani, che lo cacciano di notte, con fragorosi schianti in acqua, in fondo alle buche formate dalle rapide.
Di giorno i caimani si vedono raramente; dopo qualche ora al sole per riscaldare il proprio sangue si ritirano nel fitto della foresta, per entrare in movimento solo dopo il tramonto. Per questo motivo è concesso all’uomo di camminare tranquillamente lungo le sponde rocciose delle rapide del fiume e di pescare il payara.

Le canne da mosca per questi luoghi sono quelle normalmente usate per la pesca ai grandi lucci: una 9 piedi per coda 8-9 è perfetta sia per proiettare lontano le grandi e voluminose esche sia per combattere la battaglia che si innesca dopo la ferrata. Il tipo di coda da utilizzare varia da caso a caso, tuttavia possiamo dire che una coda multi tip potrà risolvere la maggior parte delle situazioni. Normalmente il “sistema di coda” che offre i migliori risultati è composto da una coda galleggiante con gli ultimi 3-4 metri affondanti. Un corto finale composto da 4 spezzoni di diverso diametro decrescente (0.60-0.50-0.45-0.35) terminante in un tip d’acciaio 15 o 20 libbre completerà l’attrezzatura. Le esche per il Payara dovranno tener conto del colore dell’acqua, spesso abbastanza carica di materiale in sospensione. Una testa in pelo di cervo, voluminosa e leggera riesce spesso a produrr, durante il recupero, un suono tale da attrarre l’attenzione del predatore. Gli ami devono essere molto robusti, acciaiati, del 2/0-3/0, magari 2 insieme uniti tra loro in tandem da un filo d’acciaio armonico. In alternativa è possibile costruire delle tube fly montando loro in coda un’ancoretta con ami del numero 1 – 1/0.


Il pescatore che arriva in questi luoghi infatti avrà l’opportunità di capire velocemente il comportamento di questo pesce proprio perché potrà ammirare le sue cacciate sul pelo dell’acqua, che hanno tutte, bene o male, una dinamica simile: il Payara si porta a centro corrente ed attacca il malcapitato pesce spingendolo a fuggire verso la riva rocciosa. Una volta arrivato verso la riva la preda compie una virata a “L” risalendo la corrente, mentre il predatore, per istinto prende la diagonale azzannandolo con i denti delle sue fauci quando ormai non ha altro che roccia come via di scampo.
Compresa questa dinamica è abbastanza facile, insidiare questo pesce, non fosse che per il fatto che, come abbiamo detto precedentemente, lo stesso si accorge velocemente della presenza dell’uomo e percepisce come innaturale il rumore dell’esche nell’acqua.


Il viaggio di cui raccontano le foto è stato fatto assieme all’amico Mauro Borselli, con il quale ho passato 15 giorni di pesca incredibili in quei luoghi.

Ivano Mongatti (Ivano M.)

© PIPAM.org

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