CAN - Born to run - B.C. 2008

Canada  18 Settembre - 6 Ottobre 2008


di Beppe Saglia (beppe s.)

foto e video di Paola Orlandi


L’idea iniziale era ambiziosa. Atterrare a West Yellowstone, fare la chiusura nel parco alla ricerca delle grosse cutthroat che si preparano allo spawning, quindi puntare a Nord costeggiando il Missouri, il Marias e, dopo il confine canadese, il Bow, per poi attraversare il Banff National Park e successivamente spostarsi con un lungo traverso tra fiumi e laghi risalendo il Fraser sino a Houston, per spendere poi gli ultimi giorni nei classici fiumi da steelhead tra Smithers e Terrace da dove ci si sarebbe reimbarcati per casa.
Purtroppo i problemi non sono mancati. Quello che ci ha fatto desistere è stata l’impossibilità di noleggiare un camper negli States e riconsegnarlo in Canada, senza sostenere costi proibitivi.
Poi a risolvere la situazione ci ha pensato Stefano Gai titolare della “Le Reve House”, al quale avevo chiesto informazioni, offrendoci una proposta alternativa: giro in camper da Vancouver a Smithers attraverso l’Island e l’Inside Passage e ritorno lungo il bacino del Fraser.
A combinare, complice Pipam, ci abbiamo messo il tempo di una telefonata e di una e-mail.
Qualche informazione logistica. Si parte da Malpensa alle 12,30 e si fa scalo ad Amsterdam da dove si riparte verso le 15,30. Si arriva a Vancouver verso le 16,30 dopo una decina d’ore di volo e nove di fuso orario. Con KLM si viaggia bene, si mangia parecchio e si spendono circa 900 €. Occhio al limite di 23 Kg per bagaglio da imbarcare. Sono molto fiscali. Ci hanno costretti a scene comiche. Ore di preparativi delle valigie con le chiusure al limite dell’esplosione per ottimizzare gli spazi e proteggere i preziosi strumenti di pesca, vanificate in pochi minuti, nel goffo tentativo di ripartire tra tutti il peso eccedente… tra mutande, waders e vivande che si mischiavano disordinatamente sotto gli occhi schifati di quelli del check-in, per poi finire comunque di buttare nel cestino dei rifiuti un paio di bottiglie di pregio e pagare la multa per soprappeso.
Vi ometto l’umiliazione patita sull’aereo quando, per ben tre volte prima del decollo, ho dovuto ripetere “It’s mine” di fronte a un’hostess sbigottita che brandiva oggetti vari e che ha dovuto costatare che tutti gli effetti personali dimenticati al gathering d’imbarco appartenevano alla stessa persona!
Sorvolato il circolo polare artico l’occhio cade qualche migliaio di metri sotto e la mente comincia a vagare, libera come lo scorrere del fiume che si intravede, libera nelle immensità di questo paese dalla natura selvaggia ma non dura, dove quasi tutti sognerebbero di vivere.
Poi le Rocky, le punte innevate e, finalmente, appena dietro la montagna, l’oceano e Vancouver a fare da cuscinetto.
Un saluto a Stefano che ci aspetta all’aeroporto e immediato assedio a un ingrosso alimentare con accesso a tessera dove abbiamo fatto le scorte per la vacanza. E, in questa fase, la consulenza di un italiano che da qualche anno vive in Canada è essenziale per non buttare i soldi, centrare i prodotti giusti e finire la vacanza senza che il fegato vada a pezzi.
All’alba del primo giorno, peraltro destinato ancora a trasferimenti, non ce la faccio a dormire… fuso orario a parte. Esco dal Motel e vado a fare due passi. Il tempo di percepire una Vancouver ovattata, che il profumo dell’acqua mi guida sulle sponde del Capilano, uno dei tanti piccoli creek che attraversano la città e si buttano nell’oceano.
Che sia un posto da salmoni me lo fanno capire la conformazione, i cartelli e un paio di pescatori. Che sia un segnale di “tempi duri” me lo fanno invece immediatamente vedere i livelli, bassissimi, incompatibili con qualsiasi genere di risalita.
Il camper che ci viene consegnato è davvero enorme, 30 piedi di spazi abbastanza razionali dove ci sistemiamo comodamente in quattro, peccato che consumi come lo Shuttle: ogni due giorni ci ficcheremo 200 $ di benzina. Con una guida da ottantenne (ma in America comunque non si può fare tanto i furbi) si riescono a fare quasi i quattro con un litro, sempre che non si faccia uso del generatore, nel qual caso si va poco oltre i due L!
A parte la grande sicurezza che il Canada offre nell’effettuare del campeggio libero, il numero di campground (statali) e camping (privati) è elevatissimo, sia in relazione alle cittadine sia in relazione alle possibili destinazioni di pesca.
I costi sono irrisori, da gratuiti con offerta libera a un massimo di 25$ al giorno per camper, luce, acqua e docce comprese.
Abituarsi a guidare un camper di quelle dimensioni attraverso le città, non è il massimo, ma Mario è uno di esperienza. Ci fiondiamo al bellissimo negozio Pacific Angler in centro a Vancouver (232 W. Broadway Vancouver Tel: 1.604.872.2204 http://www.pacificangler.ca) dove facciamo le licenze (la licenza annuale costa 84$) e, con l’aiuto di Stefano, compriamo le ultime mosche.
Alberto, in preda al primo dei suoi numerosi “compulsive shopping” fa un ottimo affare con una Sage D.H. 14 ft in saldo, che si rivelerà canna utilissima in pesca.
La competenza del personale è notevole, informazioni puntuali senza cadere nella spirale del vendere a ogni costo.
Ci dirigiamo quindi verso la Vancouver Island dove giungiamo a Nanaimo dopo un breve viaggio in traghetto. Sperimentiamo subito i vantaggi del camper, parcheggiato, “per sopraggiunta stanchezza”, direttamente di fronte al mare.

LA VANCOUVER ISLAND
È ancora buio quando scendo, facendo piano per non svegliare i compagni d’avventura. Non fa freddo e anche se il mare è calmo e apparentemente senza segni di vita, non resisto alla tentazione di fare qualche lancio. C’è bassa marea e, percorrendo una lingua ghiaiosa, riesco a entrare ben dentro l’oceano, sino a dove stazionano gabbiani e altri uccelli marini.
Vedo saltare due salmoni, appena oltre le mie possibilità di lancio, e le pulsazioni vanno alle stelle… per poi ritornare normali dopo aver costatato che non è mica così facile l’equazione pesce visto = pesce preso. Infatti, chi pescava dalla barca sia a mosca che a spinning, si spostava da un segnale all’altro, ma senza nessun risultato.
Il primo pesce (pescetto via…) l’ha catturato Mario, come deve succedere a un novizio assoluto (prima di questa uscita canadese vantava ben un’ora di pesca infruttuosa in un torrente montano)!
Poi scappotto anch’io con una mega iridea (lo so la foto non rende giustizia ), ed è la prima volta che mi succede in mare!
Avremmo dovuto pescare il Cowichan river, scelta scartata per assoluta carenza d’acqua, e così approfittiamo per dare un occhio a vari spot lungo la costa (Deep bay, Qualicum bay), e alle varie foci.
Il Little Qualicum river dovrebbe pullulare di salmoni. Invece l’affaccio dal ponte conferma le brutte notizie che ci giungono da Stefano che, consultando i report e sentendo i suoi contatti in loco, ci aveva anticipato che il periodo, ottimo in assoluto, era infelice per l’assoluta mancanza di precipitazioni.
I livelli infatti sono al minimo. Acqua cristallina e quasi stagnante, di pesci nemmeno l’ombra.
Si finisce per riprovare in mare, dove il non vedere porta con sé maggior convinzione. Chissà cosa potrebbero offrire queste acque, questo mare, al di là di quello che i pochi pescatori vi cercano, ossia i salmoni in attesa di risalire?
Non c’è tempo per approfondire, ma la sensazione è che, conoscendo meglio territorio, flussi e maree, abituati come siamo alle sofferenze della pesca dalle nostre coste, le soddisfazioni non dovrebbero mancare.
Un pescatore a mosca che incontriamo sulla spiaggia mentre sta portando a passeggio la figlioletta, e a cui illustriamo il nostro programma, ci rialza il morale, garantendoci che la nostra prossima meta, ossia lo Stamp river, sarà prodiga di soddisfazioni, specie se l’affronteremo con David Murphy che di quel fiume è la miglior guida (www.murphysportfishing.com).
Il Murphy's Riverside Lodge, nelle vicinanze di Port Alberni è semplicemente favoloso: legno, vetro, camini, un parco da sogno che digrada al fiume. Son cose che fanno male a vederle, perché poi, finita la vacanza, quando si ritorna nella quotidianità italiana, fatta di traffico, cemento e capannoni, polveri sottili, brutte notizie e stress, il rischio di andare in depressione ,ripensandoci, è notevole.
Partiamo che è ancora buio e con una potente lancia d’alluminio raggiungiamo in pochi minuti un isolotto a centro fiume, postazione diversamente non abbordabile, e che vale, oltre ai preziosi consigli ricevuti, il costo della guida.
Il target sono i Coho (Silver), che in questa stagione stanno risalendo ancora in discreta quantità. Personalmente è l’unico salmone che mi manca e quindi sono molto carico.
Il posto è da favola, l’acqua da bere (letteralmente… a metà mattinata chiedo a David se ha dell’acqua, lui stupito mi guarda e mi dice “c’è il fiume” poi si china, ne raccoglie un po’ col palmo della mano e beve tranquillamente). La pesca è oltremodo interessante e molto tecnica. Aiutati da David, che dall’alto della sua esperienza e dall’alto di una scaletta , ci avvisa al sopraggiungere di “un run”, ci si posiziona in zona di non disturbo, a circa dieci metri dal filo della corrente principale e su quella si cercano di individuare a vista le sagome scure dei salmoni.
Si lancia quindi alcuni metri a monte del pesce, lasciando affondare e derivare l’esca (per lo più un uovo di generose dimensioni), in modo che, quando giunge in prossimità del salmone, l’intero sistema (coda-finale) sia in moderata tensione. Proprio come nella pesca a vista si ferra ad ogni stop e scatto della coda e ad ogni eventuale scarto del pesce.
L’attrezzatura è spartana. Canna di 9 piedi per coda nove sinking, uno spezzone di nylon di un metro e mezzo dello 0,40 legato direttamente alla coda. Mulinello con una buona frizione. Le giunzioni devono essere collaudate, in quanto un Silver di una dozzina di libbre in corrente si beve rapidamente alcune decine di metri di backing.
Abbiamo catturato tutti (la palma del più grosso spetta ad Alberto e sarà una costante di tutta la vacanza ). Personalmente ho avuto dodici strike, alcuni dei quali persi sia per slamatura accidentale (importante un affila ami per contrastare microspuntature da colpi e incagli sulle pietre) sia per rottura dell’amo stesso (errore mio nella scelta del filo, evidentemente sottodimensionato per certe taglie). Quelli arrivati a guadino, sono stati tutti liberati.
Infatti sulla nostra voglia di mangiarci un bel trancio di freschissimo salmone ha prevalso lo sguardo supplicante di Paola, già segnato dalle ripetute annoccate a cui ha dovuto assistere da parte dei pescatori del gruppo limitrofo.
Ovviamente quello più in difficoltà è stato Mario a cui difettava ogni esperienza di pesca e le relative sensibilità. A un certo punto, ritenendo improbabile che potesse agganciarne uno, gli ho ceduto la mia canna (con salmone appena ferrato) per fargli provare delle sensazioni forti, come in effetti è stato. Bello vedere il suo sguardo incredulo di fronte a tanta forza, bello vedere come la lotta tra pesce e pescatore sia molto più ad armi pari, quando per entrambi è la prima volta.
Poi Mario mi ha clamorosamente smentito nel prosieguo della giornata, riuscendo ad agganciarne uno da solo e finendo per portarlo sempre da solo a riva. Resterà l’unico suo pesce serio della vacanza, ma è un po’ quello che voleva, prenderne uno per essere poi libero di dedicarsi a funghi, footing, libri, camper e cucina.




Filmato di Paola Orlandi
Filmato
2008 Canada
4' 33"

Ritornando da Port Alberni verso il mare ci si addentra in foreste infinite, antipasto di quello che sarà il piatto forte di tutto il viaggio.
Assolutamente da vedere (è limitrofo alla strada) facendosi due passi la Cathedral Grove, all’interno del Macmillan Provincial Park (www.env.gov.bc.ca/bcparks/explore/parkpgs/macmillan), dove svettano alberi altissimi (abeti Douglas) vecchi fino a 800 anni, dove la foresta è lasciata assolutamente libera di disegnare con infinita fantasia le sue forme e di stabilire gerarchie e convivenze.
Alla sera giungiamo a Campbell River. Attraversando la cittadina ho cercato invano il JJ pub, in onore di una vecchia firma di Pipam. Mi sarei fatto volentieri una birra in onore di uno che non conosco ma che leggevo volentieri.
Per la verità di birre quella sera ce ne siamo fatte parecchie lo stesso, tant’è che il giorno dopo, il consigliatoci “coup de matin” sull’omonimo fiume, l’abbiamo fatto a letto.
In realtà l’obiettivo era il Quinsam river, anche questo purtroppo desolatamente senza acqua. In questi laterali, se si fosse centrato il momento favorevole (e sarebbe bastata un po’ della proverbiale pioggia che di solito in questa stagione scende) si sarebbe potuta fare una interessante e produttiva pesca a vista.
Abbiamo ripiegato sul Campbell river, in cui l’acqua non manca. Un fiume stupendo. Correnti poderose, buche, massi affioranti… Il fiume per eccellenza. Di tanto in tanto qualche grosso King che delfina, a ricordare che dove c’è acqua c’è pesce.
Ho pettinato invano un chilometro di fiume con una 400 grain che radeva costantemente (anche troppo viste le mosche perse…) il fondo, cercando di spingermi al limite dei wader e della corrente.
In uno di questi guadi un po’ azzardati, raggiungo un grosso masso a centro fiume, posizione ideale per sondare a destra e a manca la pool e le correnti sottostanti. Mi siedo e contemporaneamente di fronte a me compare un orso.
Siamo praticamente in paese e non me lo aspettavo (ci spiegheranno poi che a causa della mancanza di salmoni e quindi di cibo, gli orsi si portano vicino alle case per cercare delle alternative alimentari). Indietro non potevo tornare. Sono stato a guardarlo, sperando che quel masso tra le correnti non interessasse anche a lui. Fortunatamente ha rovistato un po’ tra i rami ed è sparito nel bosco. L’orso resta una delle presenza più pregnanti e intriganti di una vacanza in British. Ne abbiamo visti diversi, tanti li abbiamo fiutati, intuiti, un po’ temuti e forse anche un po’ cercati.
Dopo una mattinata a vuoto (sorte comune a tutti i pescatori, ed erano parecchi, trovati sulle rive, sia che pescassero a mosca, che a spinning, che a galleggiante), a parte un bel pesce agganciato da Alberto (un grosso barbo???) perso prima di poterlo identificare, dedico invano gli ultimi lanci alla parte finale del fiume prima dello sbocco in mare. Larghissimo, profondissimo, affascinante e difficile.
Quindi una lunga trasferta fino a Port Hardy in cima alla Vancouver Island, tra una natura sempre meno segnata dalla mano dell’uomo. Strade deserte, che assecondano le ondulazioni del terreno senza inutili viadotti, pochissime fattorie e infinite foreste.
Finiamo con una bella cena a base di halibut (non ho potuto fare a meno di fotografare lo sciccosissimo orinatoio con tv incorporata) e di altro pesce freschissimo (e se non è fresco qui…).

L'INSIDE PASSAGE
In tutta onestà devo ammettere che quando Stefano, nella predisposizione di massima del tour ci mise dentro una intera giornata di traghetto (16 ore) , pensai subito a tempo tolto alla pesca.
Non è stato ovviamente così (a parte che i chilometri per andare a Nord vanno comunque fatti…).
Si tratta di un’esperienza unica in quanto consente di godere in tutta rilassatezza di panorami eccezionali, gustandosi 650 km di costa da un palcoscenico privilegiato.
Si passa in mezzo a centinaia di isole, tutte ricoperte di verdissime foreste, con, sullo sfondo, i ghiacciai delle montagne. Pochissimi paesini, incastrati tra i fiordi, a vivere di pesca.
Il traghetto è enorme, stabilissimo e dotato di tutti i comfort. Se la giornata non è piovosa merita stare su uno dei vari ponti a godersi gli animali che sicuramente non mancheranno.
Dalle aquile, agli uccelli marittimi, per finire con banchi di foche e di orche marine. Tutti trovano passaggio ideale in questo percorso tra Florida e Alaska.
Di tanto in tanto una furiosa mangianza a farci salire le pulsazioni e a ricordarci che anche quando facciamo i turisti non smettiamo di essere pescatori.
L’incontro con le balene, straordinariamente vicine alla costa, è una perla che statisticamente allieta la maggior parte dei viaggi.
Ovviamente c’è anche il tempo per fare un check dell’attrezzatura, di connettersi e scaricare qualche news, di fare un po’ di shopping e di pranzare in uno dei due ristoranti sempre funzionanti.
Si arriva a Prince Rupert a tarda sera ma fortunatamente le operazioni di sbarco sono velocissime. Ci aspetta ancora una discreta trasferta sino a Terrace.

LA PESCA GUIDATA

Ron Wakita è un bel personaggio, tratti giapponesi e gentilezza canadese. Istruttore FFF, è possibile trovarlo al City Centre Hardware & Sporting Goods a Kitimat, negozio con ampio fly shop interno (dove nel pomeriggio Alberto ha avuto il secondo attacco di “compulsive shopping”…stavolta ha fatto incetta da importatore di G3).
Ron ci ha guidato a remi in una bella discesa sul Kitimat. Sgombrato subito il campo circa le remote possibilità di incocciare in qualche steelhead, ci si è concentrati sulla ricerca dei Coho.
Al secondo lancio porto a guadino una bella Dolly Varden, che resterà l’unico pesce della mattinata. Ci fa fare per una decina di volte, con gran dispendio fisico nel risalirla, una bellissima pool dove uno spinner ha agganciato due salmoni.
Ma nonostante le passate siano giuste, i complimenti per i lanci e la gestione della coda costanti, le mosche le migliori (ce le fornisce lui stesso), il sospirato strike non arriva.
Per consolarci ci cucina in barca un gustosissimo barbecue, prima di riaccompagnarci alla base. Il Kitimat è molto bello e selvaggio, pescabile per buoni tratti anche da riva, tra le aquile che volteggiano regali a suggellare emozioni che poi uno non vede l’ora di ripetere.
Il camper è soprattutto libertà. Un minimo di rispetto per le esigenze del gruppo e tanta libertà. Dopo qualche giorno ci si prende le misure e l’ordine di uno riesce a convivere con il caos dell’altro.
Chi fa le mosche, chi va per funghi, chi cucina, chi gira a vuoto. Ci sta tutto, si finisce per cenare a mezzanotte e andare a dormire alle due di notte, ma a riposarci ci sarà tempo in Italia.
Gill McKean è una delle guide più famose della B.C. A prima vista pare molto riservato, a tratti addirittura un po’ scorbutico, poi gratta gratta si rivela un animo gentile innescato su una scorza molto rustica.
Estremamente competente, aggiornatissimo su una zona molto vasta di territorio, padroneggia con classe e disinvoltura tutte le tecniche di pesca, dalla due mani allo spinning, alla pesca di ricerca con pesantissimi jig.
Il suo mandato è veramente duro. Scovare steelhead quando non ci sono!
Peccato che lo ammetterà solo alla fine del secondo giorno !
Cala la sua potente barca nello Skeena, la madre di tutti i fiumi. Lo percorre in lungo e in largo, valutando le pool, leggendo le correnti, cercando dei segni, poi punta decisamente a valle e si ancora in prossimità dello sbocco di un piccolo laterale.
Siamo letteralmente intirizziti dal freddo del primo mattino, noi, che indossiamo 10 strati di capi tecnici. Lui che indossa un pile no, anzi gentilmente ci accende un fuoco per scaldarci prima di iniziare a pescare.
A pescare lo Skeena, immerso sino alle ascelle nelle sue fredde acque, ho provato per la prima volta quelle sensazioni che sono alla base di quel processo evolutivo inevitabile che coglie molti frequentatori di questi luoghi, trasformandoli più o meno lentamente da pescatori in steelheader.
La sensazione di essere sulla passata giusta, dopo aver sondato varie correnti, la sensazione di essere alla profondità giusta, dopo aver cambiato ripetutamente tipo e peso di coda e tipo e peso di finale, la sensazione di vedere la tua mosca fluttuare tra quelle grosse pietre su cui è difficile stare in equilibrio, la sensazione di avere un contatto diretto con le mani, quasi a guidarle tra tane, ostacoli e incagli alla bocca di quel pesce che ti immagini scelga proprio quel posto per risalire o per riposarsi un attimo prima di riaffrontare le correnti.
Fortunatamente nei grandi fiumi la speranza di incontrare qualche pesce c’è sempre, anche se le risalite sono ferme. Cosi non sono mancati gli appuntamenti con qualche grassa iridea e dei combattivi salmerini.
Complice forse il bel tempo nella parte centrale della giornata, è pure uscita una discreta schiusa (l’unica a cui ho assistito a parte qualche occasionale insetto) di effimere di buona taglia e, contravvenendo a quanto mi ero imposto (coerenza e costanza nella ricerca di fondo), non ho resistito al montare una delle pochissime secche che mi ero portato dietro, riuscendo a catturate trote a galla con un tip dello 0,32. Il difficile non era tenere la mosca sulla superficie a causa dei dragaggi, ma a causa del peso della punta della coda affondante
Il secondo giorno proviamo a risalire un laterale dove fino alla settimana prima non erano mancate le catture di Silver. Ma abbiamo dovuto desistere per l’impossibilità di proseguire. Troppo rischioso per il motore e la barca navigare in venti centimetri d’acqua. Anche i pochi corpi in avanzato stato di putrefazione ritrovati sulla riva confermavano il sospetto che il bello era passato.
In una giornata dove è comparsa per la prima volta la tanto invocata pioggia, Gill le ha provate davvero tutte per onorare la sua fama di steelheader o almeno per agganciare un salmone.
E sì che potersi spostare da un posto all’altro al cambiare delle maree ed essere sempre perfettamente in pesca è un vantaggio che in condizioni ottimali fa la differenza tra una pesca guidata con barca rispetto a una molto più limitata pesca libera da riva.
Resta inoltre sempre il fatto che, condizioni ideali o meno a parte, il valore di una giornata guidata, specie se si è alle prime esperienze di questa pesca, è quello di evitare per il futuro di incaponirsi in errori tecnici e in approcci sbagliati al fiume.
La verità poi sulla mancanza di Steelhead è venuta prepotentemente a galla alla fine della seconda giornata. Il grosso del run (stimato da Gill nell’80%) è avvenuto quest’anno ad Agosto, cosa insolita e in controtendenza, in quanto nelle ultime stagioni stava costantemente spostandosi verso fine Ottobre.
Cosa peraltro poi confermata anche dai report e dai racconti di amici che erano andati in piena estate per i King e si sono divertiti anche con le Steel.
Ovviamente le guide si prenotano mesi prima, devono lavorare e il rischio che la dicano tutta solo a mancia versata, in effetti c’è.

LA PESCA LIBERA

Salutato Stefano che ci aveva accompagnati sulla Skeena, raccolte info da lui, dalle guide e dai negozi, partiamo per il nostro libero girovagare nella speranza che la poca pioggia scesa sia bastata a muovere un po’ il pesce.
La valle del Copper, è assolutamente selvaggia. Una strada sterrata, ma ben percorribile anche in camper, costeggia il fiume, tra sali e scendi ritagliati in boschi infiniti. Boschi pieni di funghi, dove però camminare è molto difficoltoso a causa dello strato cedevole sotto il muschio, cresciuto sulla putrefazione degli alberi morti e dei rami caduti, mai raccolti da nessuno.
Peccato che il fiume si sporchi facilmente. Perché come dimensioni è uno dei più umani, addirittura guadabile in alcuni punti e pescabile in tutte le sue parti.
La poca pioggia è bastata a velarlo pesantemente. Non avendo esperienza specifica l’abbiano pescato lo stesso (confortati dalla presenza di alcuni altri pescatori) rispettivamente al Km 32 e scendendo al Km 17.
A parte il solito piacevole incontro con qualche Dolly Varden di bella taglia, non è uscito altro. Con grande rammarico scopriremo, quattro giorni dopo parlando con un gruppo di scandinavi, che l’affluente che sporcava il Copper era appena 500 metri a monte di dove avevamo pescato noi, e che la parte sopra, pulitissima, aveva regalato alcune belle Steel.
Trasferendosi da Terrace a Smithers una visita a New Hazelton è d’obbligo.
Vi si trova tra l’altro lo “Ksan Native Village and Museum”, uno dei villaggi indiani più visitati del Canada e del mondo, costituito da sette case lignee finemente decorate e vari totem scolpiti.
Ovviamente ci siamo fermati ma la classica visita guidata è stata sostituita (per me e per Alberto) da un rapida occhiata, per far posto a una altrettanto fugace pescata subito sotto il villaggio, dove le acque del Bulkley si uniscono a quelle dello Skeena.
Paola e Mario ne hanno approfittato per fare il pieno di saggezza indiana da un nativo in vena di preziosi consigli sulla vita e sul come non lasciarla scivolare via inutilmente.
Stavolta i resti del pasto degli orsi sono freschissimi. Sarebbe il caso di insistere, il posto è anche molto bello, ma decidiamo di andare a dare un’occhiata anche al Kispiox.
Fiume di dimensione contenuta, pescabile tutto, in particolare con i livelli bassi e l’acqua cristallina che abbiamo trovato.
Una bollatona mozzafiato nella lama a monte del ponte e un tirone nella corrente a valle. Ho pensato alla Steel ma era sicuramente un salmone, l’avrei scoperto poco dopo che la botta della Steel è inconfondibile.
In fiumi come il Bulkley, caratterizzati da un letto largo, da una notevole portata e una discreta profondità, si apprezzano immediatamente i vantaggi della canna due mani. Mi ero portato l’unica che avevo, una 12.8 ft #9, ottima per l’underhand, ma qui serve una canna da spey e la 14 ft acquistata da Alberto va molto meglio della mia, anche se dovendo comprarne una non lesinerei su un ulteriore piede in più.
Con una due mani la mosca sta in acqua il doppio del tempo rispetto a quanto non stia utilizzando una canna a una mano (e quindi le possibilità di aggancio raddoppiano). Un solo lancio (spey semplice o doppio a seconda della sponda) e si è in pesca. Non si recupera mai, si pettina il fiume passo dopo passo.
Forse qualcosa si perde nel piacere del combattimento, specie se trattasi di pesci “umani” come questa bella iridea agganciata da Alberto a monte della confluenza del Telkwa river. Ma i vantaggi restano notevoli. Specie se si opta per delle code multitip che consentono di costruirsi il sistema coda finale “ad hoc” in base al posto dove si pesca.
Il fiume che mi è piaciuto di più in assoluto, per la sua valle incredibilmente selvaggia, è il Morice river.
Da Huston a salire non c’è più nulla, se non una larga strada sterrata che serve al passaggio di enormi truck che portano a valle il legname tratto dalle estesissime foreste della regione, ora colorate da una mano felice in tutte le calde sfumature dei gialli e dei rossi. Nemmeno un campeggio, solo a metà valle uno spiazzo sul fiume dove parcheggiare il camper.
L’ho sentito subito mio, il feeling è fondamentale in questa pesca, e poi c’era anche un moderato ottimismo legato alle ultime news tratte dal negozio di Smithers (McBike&Sport, 1191 Main St. +1 250-847-5009 http://www.mcbike.bc.ca/fishing/) dove si fanno le licenze, che davano per certa una ripresa di risalita delle Steelhead.
La prima botta al mattino presto, una scarica elettrica che dalla mosca schizza attraverso la coda direttamente al cuore. Adrenalina pura. Emozione primordiale e dire che qualche bel pesce l’ho già preso in vita mia… Quella botta l’ho risognata tante volte, non la scorderò mai, anche se quella Steelhead l’ho solo intravista in quel poco che mi ha concesso. Una fuga incontrollabile che brucia la frizione, e poi un gran salto in piena corrente, ultimo saluto prima di andarsene, con la mia mosca, il mio finale e i primi venti metri della mia coda.
Chissà forse un taglietto, forse un’incisione con i chiodi degli scarponcini, forse il caso…
A fine mattinata altro aggancio, altra furiosa accelerata, e altro sguardo vuoto a fissare una lenza d’improvviso senza vita. Sganciata. Che voglia di smettere! Fortunatamente c’è Paola che mi sprona e mi incita di suo e mi ricorda le parole che Gino (xx-fly) mi ha scritto in una e-mail prima che partissi, e che ho mostrato ai compagni di viaggio: “Perseveranza!! ..è importante "CREDERE" che ogni passata sia quella giusta e mai mollare!! anche l'ultimo lancio può essere quello giusto!!”
Sono ritornato al camper ho controllato l’attrezzatura, ho estratto il morsetto e ho fatto due mosche, quasi non bastassero le centinaia che avevo nelle scatole.
Sono tornato sul fiume, dove l’avevo persa, con una convinzione pazzesca.
La botta è arrivata di nuovo e stavolta è andato tutto OK!
Rimettere in acqua con tutta la cura possibile un pesce del genere è, oltre che un obbligo di legge e un dovere morale, un atto naturale a coronamento di un desiderio realizzato.
Poi, vuoi mettere il gusto che prende quel mezzo toscano che giaceva nel taschino semi stropicciato in attesa di partecipare alla festa?
E la soddisfazione generosa ed esplosiva di chi armata solo di macchina fotografica e voglia di panorami, si era ormai immedesimata totalmente nella disperata ricerca della Steelhead?.
Sono un pesce e una pesca che ti prendono. Ti danno il senso del vero, del selvaggio, della sconfitta e del successo, del nulla di scontato.
Fatta in certi ambienti e in una certa stagione credo, anche se è presuntuoso dirlo dopo una sola esperienza, che si avvicini al top in termini di difficoltà, durezza, spettacolarità e, forse, anche di soddisfazione.
Di sicuro è difficile restare indifferenti al fascino del pescare liberi in grandi spazi, tra una natura davvero incontaminata, pesci nobilissimi dalla forza straordinaria, che dal mare fanno centinaia di chilometri per perpetuare il cerchio della vita.
Scambiare opinioni tra pescatori incontrati sul fiume è un piacere e una grande fonte di arricchimento. Se poi si ascoltano persone che hanno alle spalle decenni di esperienza su questa pesca, si apprendono cose importanti, a volte anche molto al di fuori degli schemi consolidati che si leggono su siti e riviste.
Il nostro lungo peregrinare per il Canada ci porta ad incontrare “en passand” un altro grande fiume, il Nechako, dove ci fermiamo per la notte.
Grande tributario del Fraser, è famoso per i grandi storioni bianchi che lo popolano. Niente a che fare con la pam, ma prendiamo atto con soddisfazione degli sforzi per tutelare questo straordinario pesce, che in questo bacino può raggiungere taglie gigantesche, di oltre tre metri e arrivare sino a 100 anni di vita. Purtroppo gli esemplari adulti rimasti sono stimati in meno di 600. Ma gli incubatoi stanno lavorando per il futuro di questo gigante.
Passato Prince George, iniziamo la discesa verso casa, in un paesaggio sempre appagante anche se diverso. Ora le foreste sono meno egemonizzanti, compaiono i primi campi coltivati, le prime fattorie tradizionali e, soprattutto, si costeggia una serie infinita di piccoli e grandi laghi. Sarebbe bello poterne approfondire la conoscenza.
Lo facciamo solo con uno di questi, il Kampsloop Lake nei pressi di Williams Lake, dove Stefano ci raggiunge per un tentativo di pesca dalla barca alla ricerca della trota nativa che è considerata un endemismo dell’iridea.
Qualche iridea viene fuori ma non quelle grosse e tipiche che ci dicono stazionare nel lago. E pensare che le bollate non mancano e i salti fuori dall’acqua nemmeno. Prenderle è un altro paio di maniche e sì che si è provato di tutto, dalla secca alla ninfa con strike indicator, allo streamer.
Mi sembrava di essere ritornato in Irlanda sul Corribe, dove per ingannare una trota ci volevano un migliaio di tentativi a vuoto.
Valli a capire ‘sti laghi naturali…
Chiudiamo il nostro tour con due giornate di pesca (non previste) sul Vedder, un fiume di media taglia non lontano da Vancouver.
Le precipitazioni hanno favorito la risalita dei salmoni, Chum in prevalenza e di qualche King. E con i salmoni, complice anche la comodità del posto, il fiume si riempie di gente. Interminabili schiere di pescatori, spalla a spalla, fotocopia uno dell’altro, tutti con lo stesso grosso galleggiante in balsa, il piombo cilindrico e un ovetto artificiale.
È una mattanza, alla quale assistiamo abbastanza impotenti. Difficile inserirsi pescando a mosca, difficile non costituire intralcio a quelle lunghissime passate. Difficile anche competere sia come efficienza che come controllo della passata.
I pescatori a passata si concentrano in poche pool dove i salmoni stazionano. Al di fuori di queste, anche questo fiume molto frequentato ritorna deserto o quasi. Le possibilità di incocciare un salmone diminuiscono, occorre aspettare ed individuare prontamente gli eventuali run.
L’acqua non pulitissima impedisce qualsiasi individuazione dei pesci e qualsiasi controllo a vista della pesca. La prima giornata la passiamo a provare con delle shooting taper che raggiungono e radono il fondo, ma a causa della corrente sostenuta il contatto con l’artificiale è molto difficile.
Ho un paio di abboccate, ma solo alla terza riesco a reagire con prontezza e ad agganciare un Chum.
La scena è quasi comica. Mi prende la corrente e non c’è modo di fermarlo. Se ne va a valle come un peso morto. Lo seguo per un centinaio di metri, poi si infila in un tronco d’albero semisommerso. Non lo sento più, lo do per perso. Prima di arrendermi definitivamente tento un guado al limite del bagno per provare a recuperare almeno la coda. Nell’incredulità di Mario che assiste alla scena, il salmone suicida fa tutto da solo, si libera dall’incaglio e ricomincia a tirare. Altri cento metri e stavolta viene a riva per la foto di rito.
Il giorno dopo si cambia tattica. Ci buttiamo nella mischia ma con armi diverse. Tre strike indicator in balsa uno attaccato all’altro a costituire un galleggiante sufficiente a reggere un paio di piombi da due grammi, quanto basta per portare l’ovetto al fondo delle pool meno profonde.
E i risultati arrivano, specie se si usa la due mani che anche in questo caso si rivela vincente, per il maggior controllo della passata che consente. Inoltre la lotta col pesce è decisamente favorita dalla lunga leva e dalla collaborazione della canna.
E sulla foto della misurazione (a che serve misurare i pesci se poi si scorda la misura? ) e del rilascio (non abbiamo ammazzato nemmeno un pesce, il salmone per i regali siamo andati a comprarlo affumicato, ma a Vancouver) di questo maschio di Chum scende il sipario su questo viaggio canadese.
Si sono fatti quasi 4000 km, un giro che consiglio vivamente a chi ama la natura. Ma la deve amare davvero, si deve nutrire di spazi immensi, di verde, di boschi, di cieli densi e di cieli tersi, di muschio e di acqua. Se avete una fidanzata amante dei grandi magazzini non portatela lì, al terzo giorno impazzirebbe.
La pesca ve l’ho raccontata, ci ha dato delle belle soddisfazioni pur nella estrema difficoltà delle condizioni che abbiamo incontrato. Avrebbe potuto essere più proficua, avrebbe anche potuto essere più dura. Non si va in British Columbia con il conta pesci, si va per provare delle emozioni, a volte quando non sono così frequenti risultano ancora più forti.
Ci sarebbero tante cose ancora da dire, di pesca, di turismo, di ambiente, di filosofia, ma vi risparmio, il tomo è già bello spesso, magari ci torneremo in aspetti specifici.
Un grazie in particolare a Stefano Gai titolare della La Reve House, nella foto con Paola davanti alla sua bella villa in Vancouver, che ha fatto il possibile e l’impossibile per metterci nelle condizioni di pesca migliori. Per i miracoli, quando i pesci non risalgono, dice che si sta attrezzando. Contattatelo (http://www.lerevehouseadventure.com) per avere informazioni ed eventualmente per programmare il vostro viaggio in British, il banner è qui in Pipam.



  Beppe Saglia (beppe s.)


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