Piero Lumini

Le INTERVISTE di PIPAM
di Valerio BALBOA Santagostino

PIERO LUMINI



Il fatto di avere quattro figli e undici nipoti, cioè esattamente una fotocopia di mio padre, me lo ha reso immediatamente simpatico. Piero nasce nel 1940 a Ponte a Ema, un paesino nei dintorni di Firenze. A sette anni il primo inconscio contatto con la “mosca”. Era infatti seduto sulla canna della bicicletta del padre mentre attraversavano il fiume Arno quando furono costretti a scendere per non cadere a causa di una sciamatura di Polimitarcis Virgo, insetto ormai scomparso per l’inquinamento.
Dai 12 ai 25 anni frequenta l’ambito scoutistico che, insieme all’attività alpinistica, influiranno in maniera indelebile nella sua formazione.
Nel 58 si iscrive al CAI, e ne diviene a breve istruttore. Gli anni a seguire furono densi di avvenimenti: i primi figli, la laurea, l’insegnamento presso una scuola sperimentale e l’incontro con la mosca.
Nel 76 inizia la sua collaborazione con la rivista Pescare e il 77 è l’anno di fondazione della Roberto Pragliola srl. Nel 78 scrive il suo primo libro insieme ad Alberto Del Buono e Massimo Gigli: “ Il manuale del costruttore di mosche artificiali”.
In seguito Lumini ha scritto altri 10 libri sulla mosca e realizzato con John Goddard un’opera molto importante: “ Trout flies of British and Europe”. Ha disegnato, oltre ad una vasta gamma di prodotti e accessori per la Roberto Pragliola e Metz, pure una nuova linea di accessori da costruzione per la ditta Lazzeri “Pool”. Ha collaborato con Veniard e Ragot.
Gli anni 90 lo vedono impegnato con gli amici dell’Errepi Udine nella progettazione di una linea a marchio P.Lumini.
Nel 1997 ha ricevuto l’amo d’argento dall’Associazione Pescatori di Tolmino per la sua attività giornalistica. Per quanto riguarda la pesca a mosca in senso creativo, dopo gli anni 2000, ha tirato i remi in barca…lui dice: “ largo ai giovani…”.
( …ma nessuno ci crede…parere personale )

V: Piero, sono piacevolmente colpito da questo laboratorio golfistico!

P:  La mia passione per questo sport nasce in un contesto particolare. Nell’ 85-86 mi occupavo della FTP, azienda di produzione consociata alla Roberto Pragliola. Johnny Frosali, il mio socio, giocatore accanito di golf, era amico di Baldovino Dassù, emergente campione in quella disciplina.
I due mi convinsero a mettere in piedi un laboratorio per la messa a punto dei bastoni da golf e la diagnostica sui giocatori.
Per il mio carattere ogni nuova iniziativa rappresenta un’avventura e mi provoca una sorta di perverso entusiasmo. Proprio in quel periodo la ditta americana Golf Work, specialista del settore, tenne uno stage di alcuni giorni a Milano al quale abbiamo diligentemente partecipato, apprendendo in breve tempo le basi per la www.golfissimo.biz/
Io, pur essendo laureato in scienze sociali, sono perito tecnico di formazione, infatti ho lavorato per un certo periodo alle officine Galileo come disegnatore progettista nel settore tessile.
Possiedo una discreta manualità, che mi è servita anche in seguito nella mosca. Questo laboratorio, che si chiamò e tutt’ora si chiama “Golfissimo”, è stato il primo nel suo genere in Italia, tanto che, 5 anni dopo, fui chiamato a Sutri ( nelle vicinanze di Roma ) per insegnare alla Scuola Nazionale di Golf agli allievi professionisti. E’ stata l’occasione per scrivere due piccoli volumetti che sono gli attuali libri di testo per i corsi.
Ben poca cosa in confronto ai 10 libri sulla mosca ( ndr: “Il manuale del costruttore di mosche artificiali” ha tirato 15.000 copie !! ) Io e Johnny però, oramai attempati, confidiamo di lasciare presto il testimone a due giovani soci.


Unec 1972

V: Quando hai iniziato a pescare?

P:  Devo a mio zio Pergentino l’iniziazione. Da bambino mi portò per lungo tempo sul fiume Ema. Ripresi agli inizi degli anni 60 con un collega delle Officine Galileo, pescando trote col sistema casentinese. Intorno ai 27 anni ho ripreso a studiare per laurearmi. Per sostenere l’esame di sociologia dovevo preparare una tesina sui gruppi spontanei. A Firenze era nato da poco il C.I.P.M. (CLUB ITALIANO PESCATORI A MOSCA) e pensai bene di unire l’utile al dilettevole. In fondo si trattava di un gruppo spontaneo.
Cominciai a frequentare assiduamente il club. La tesi non vide mai la sua stesura ma in compenso la malattia della pesca con la mosca divenne endemica e cronica. C’era entusiasmo, si girava l’Italia. Bei tempi….


Buna 1979

V: Qual è la tecnica che preferisci?

P:  La secca mi piace di più, ma senza polemica e secondi fini, assolutamente.

V: Che paese ricordi con maggior piacere?

P:  Ho viaggiato in tutto il mondo. Ho fatto il giornalista per la rivista “Pescare” per vent’anni. Non era il mio lavoro principale, ma quasi.
Lo Sri Lanka ad esempio, un magnifico paese. Ci era giunta notizia che gli inglesi avevano liberato un secolo prima, per puro piacere di pescarle, delle trote a 2500 metri d’altitudine, sull’altopiano di Horton Plains. Un viaggio avventuroso, in una vegetazione rigogliosa, pipistrelli giganti e scimmioni minacciosi, alla ricerca di iridee che si erano riprodotte. Si cibavano prevalentemente di granchietti rossi ma alla fine non hanno disdegnato le nostre sedge e i nostri streamer.
L’Alaska nell’81, con le sue acque rosseggianti di salmoni e i suoi abitanti che sembravano usciti da un romanzo dell’ultima frontiera.
Cuba 2001, a La Salinas, con Giorgio Dallari, un vero paradiso per fenicotteri, pellicani, bonefish e un’infinità di altri pesci.

Cuba 2001

Il Kenya, dove ero stato invitato dalla “Kenya trout and salmon flies” per insegnare a costruire le mosche. Un’esperienza molto singolare. Anche in quel paese sono riuscito a pescare. Mi avevano ospitato in un’esclusiva riserva a 3000 metri d’altezza, di proprietà di inglesi. Trote iridee e fario, anche di buona taglia.
Ho ancora negli occhi l’immenso verde della savana e il cielo senza limiti dell’equatore...
..e poi tanti altri….

V: Il pesce che ti ha lasciato il segno?

P:  Una marmorata a secca in Idrijca (IDRICA) e una steelhead in BC, nel Barkley.


British Columbia 2002

V: Il pesce che vorresti prendere?

P:  Non mi interessa, ne ho presi cosi tanti. Mi va bene il cavedano come il salmone. Mi piace il confronto con la natura, la tecnica in un ambiente pulito e poi che sia un pesce o un altro, va bene lo stesso. La settimana prossima, per esempio, vado a muggini con gli “amici miei” ( ndr: suo storico gruppo di amici pescatori )


Bassa di Empoli 2009

V: Con che cosa li peschi i muggini?

P:  Allora, io uso una…..

V: Grazie delle info Piero, ma queste, scusa, non le scrivo proprio, me le tengo per me. Mi fanno impazzire i muggini, almeno avrò una chance in più per prenderli!
Cosa pensi del lancio?

P:  È importante che ognuno sia soddisfatto di ciò che riesce a fare. Il lancio è un grosso ausilio per la pesca a mosca, l’importante è che non rimanga una cosa astrusa fine a se stessa.
Bisogna stare attenti che non diventi un elemento discriminante. L’imperativo è divertirsi, e questa regola vale per tutto, altrimenti si creano dei blocchi. L’estrema sofisticazione tende ad allontanare.
La pesca a mosca è facile di per se stessa, ma se la si rende difficile con perfezionismi inutili, si allontana la gente. All’inizio il fattore discriminante era di tipo culturale rappresentato da un’elite. A quel mondo o ci appartenevi oppure ne eri escluso. Ora i fattori discriminanti possono essere vari: dall’estremo tecnicismo nell’attrezzatura, alla logistica degli spostamenti. Muoversi, specialmente per i più giovani, costa abbastanza e più grave, da un estremo individualismo. In ogni caso la vera palestra è il fiume.


V: Secondo te che differenza c’è tra un pescatore americano e uno europeo?

P:  Ho conosciuto tanti americani. Hanno i pesci, gli ambienti giusti. Ho conosciuto molti pescatori in America. Hanno numeri incredibili, ben diversi dai nostri.
Sia sul lancio che sulla costruzione degli artificiali non abbiamo niente da imparare. L’italiano è un perfezionista per natura, tende a raffinare la propria inventiva perché non ha pesci. Sulla costruzione poi siamo diventati dei veri artisti.
Si elabora una mosca per il cavedano o per la trota cento volte più sofisticata che in America. Noi non pescheremmo mai con alcune imitazioni americane. Questo non toglie che abbiamo imparato molto e ancora dobbiamo imparare.

V: Come vedi la pesca a mosca in Italia?

P:  Siamo una popolazione ridicola per numeri. Non ci sono i giovani, mi rendo conto che stiamo decrescendo, e poi c’è un’esterofilia galoppante. Anch’io ho viaggiato molto avendo come alibi l’attività di giornalista e poi… perché ho sempre amato l’avventura…ma c’è un tempo per ogni cosa…
Oggi uno inizia a pescare e l’anno dopo lo trovi in BC a steel head.


Sava 1990

V: Cosa fai ora nel campo della pesca a mosca?

P:  Ho scritto quest’ultimo libro ( ndr: “Della pesca ed altre storie”) e vado a pesca con gli amici. Nonostante mi fossi ripromesso che non avrei più messo mano al tecnigrafo per disegnare attrezzature, mi sono lasciato convincere a riprendere la “matita”.
Da un paio di anni collaboro alla messa a punto di una linea mosca per la ditta italiana Stonfo. Questa azienda è un raro esempio del vero “Made in Italy”. Marchio di fama internazionale, ha prodotto sempre articoli per la pesca generica e il mare. Il vecchio amico e proprietario della stessa, Ivo Stoppioni, mi ha chiesto di collaborare al progetto mosca e io ho accettato con piacere.
Finalmente un’azienda italiana di fama si interessa a noi, mi sono detto e mi sono sentito molto onorato di contribuire al programma. Sicuramente darà un grosso apporto a questa tecnica in generale e forse, molto presto, gli americani compreranno mosca italiana. Ho saputo che lo stanno già facendo e questo fatto ha un bel sapore.

V: Una mosca che ricordi con molto piacere?

P:  Per la R.P. realizzai una serie di mosche commercializzata col nome di “Dorsal”. Un concetto costruttivo nuovo per allora. Consisteva nell’abbassare la corona di hackles e racchiudere le ali in fase di montaggio per mezzo di alcune fibre di penna. Ottimo sistema per le imitazioni di subimago (dun) e imago (spinner) .

Dun

Spent di Caenis

Spinner

Alcuni anni dopo nasce la serie Iris, che poi è il fiore di Firenze… Una serie di sintesi, frutto di vent’anni di esperienza sul fiume. Si trattava di una mosca dal montaggio classico con le ali realizzate con una piuma di CDC rovesciata su se stessa. I corpi sono tutti in dubbing. La Iris conta sedici modelli e nelle totalità tende a imitare sub immagini.



Della serie fanno parte anche due cosiddetti “mezzi corpi”, idea presa dai valtellinesi che pescavano in lago con delle moschine dal corpo assai ridotto rispetto all’amo. Concepii quindi una mosca su ami del 18-20, in due colori. La particolarità è che non vi sono hackles. Il corpo è in dubbing, e copre solamente un terzo dell’amo. Le ali sono formate da una piccola piuma in CDC rovesciata su se stessa.


Mezzo corpo

V: Preferisci la pesca in caccia o su bollata?

P:  Tutte e due. Con l’età mi soffermo più sulle bollate e meno in caccia. Prima percorrevo il fiume dieci volte, adesso mi piace studiare il comportamento del pesce e mi sorprendo a osservare incantato l’ambiente che mi circonda.

V: Un rimpianto?

P:  Assolutamente nessuno, sono un uomo sereno e felice,…..anzi per la verità uno ci sarebbe….di non aver imparato abbastanza l’inglese. Nei miei viaggi è stato un piccolo handicap.

V: Cosa pensi dei No-kill?

P:  Devo fare una premessa. Il comportamento del pescatore deve essere ligio a ciò che prescrive il regolamento per quel corso d’acqua. Le regole sono fatte da chi gestisce quel bacino e la responsabilità dell’ecosistema è a loro attribuibile. Se il pescatore rispetta le regole fa il suo dovere e non è per nessuna ragione criticabile. Se è prevista una quota di trattenimento del pesce nessuno si può permettere di avanzare critiche etiche. Chi lo fa sbaglia l’approccio al problema. E’ chi gestisce le acque che deve dire cosa il pescatore deve o non deve fare.
Un’altra cosa è poi la questione etica del rilascio e la sua educazione. Se cerco di seguire AD (autodisciplina), che ai tempi aveva rivoluzionato il concetto di pesca, è una mia scelta di maturità in questo senso. Lo faccio per una mia convinzione personale. Regolamenti da una parte ed etica dall’altra, questo il concetto che vorrei far passare. Ma è certamente esecrabile il comportamento di colui che ti guarda schifato o peggio, ti insulta, se trattieni un pesce.
Tornando nello specifico ai no-kill: è una cosa buona ma devono esserci le condizioni giuste, non cose aberranti come no-kill da 300 metri. Tutte le zone devono essere sufficientemente vaste (minimo alcuni km). Se non si ha la possibilità di alternare le zone, bisogna concedere uno stop. E’ fondamentale che ci sia una situazione consequenziale al corso d’acqua, come zone di rotazione, etc… altrimenti a lungo andare queste iniziative divengono nocive. Il capo o “trofeo” comunque è fondamentale e auspicabile per diverse ragioni.
Ma pensa per chi inizia a pescare…la gioia della prima trota…

V: Quanti giorni dedichi alla pesca ogni anno?

P:  Da 30 anni con gli “amici miei” peschiamo sempre insieme. Ogni anno cerchiamo di fare un viaggetto importante e altre due-tre uscite tipo long weekend.


Idrijca (IDRICA)1993

V: Come hai conciliato la famiglia con la pesca alla mosca?

P:  Non ho mai avuto grossi problemi. Ho avuto 4 figli. Ho cercato di conciliare il tutto. Non c’era la mosca al primo posto nella scala dei valori. Ma credo che questa regola valga per tutte le attività della vita….lavoro, sport, hobby,….
Il golf ad esempio, è un rovina famiglie

V: Preferisci pescare in acqua dolce o acqua salata?

P:  Dolce direi, perché nella salata ci sono andato pochissimo e non ho esperienza.
Bisogna avere tanto tempo per il mare, soprattutto per il nostro mare e poi, e questo è un mio parere molto personale, è una pesca un po’ al limite per la nostra tecnica.
Un po’ come per i salmoni…

V: Orpo, è la mia passione da qualche anno…..spiegami bene il tuo pensiero a riguardo.

P:  I salmoni hanno poco a che vedere con la concezione della pesca a mosca classica.
Certamente la mia preferenza va per il salmone atlantico. E’ un pesce che va e viene dal mare e lo considero quasi una steel head. In un certo senso è legato all’acqua dolce. Lo si pesca con una tecnica abbastanza scientifica. Le catture difficilmente sono casuali. Mi ricordo in Scozia sull’Ettrick… una settimana memorabile….
La pesca ai salmoni del Pacifico la considero quasi una mattanza. Nel Pacifico è la quantità del pesce che non ti fa capire come li pigli, …..in bocca, per la schiena, …..mhà…..

Scozia 1992


V: Ti piace costruire?

P:  Si, perbacco. Le mosche che uso in pesca me le costruisco tutte da me. Nel 1970 ho acquistato la mia prima canna da mosca di prestigio, una magnifica Marvel di Hardy in bambu refendu costruendo per il negozio 4000 mosche!

V: Che altri hobby hai oltre la pesca?

P:  La montagna, mio grande amore, per esempio. Ho iniziato a praticare questa disciplina a 17 anni, come confronto con le difficoltà, sperimentando, attraverso un rischio calcolato, la mia forza di volontà. Grazie all’alpinismo ho pure conosciuto Anna, mia moglie.
Ho smesso seriamente di arrampicare a 24 anni, dopo la nascita del mio primo figlio. Le nuove responsabilità familiari rappresentavano esse stesse una sfida continua.
E l’arco. Fin da bambino l’arco e le frecce hanno rappresentato per me una sorta di mondo magico: i pellerossa, Robin Hood, i boscimani dall’Africa. In età matura sono stato membro di un gruppo di cacciatori detto “la padella”.
Ma dopo le ultime due esperienze di caccia, mi sono pentito, e oggi mi limito a fare del “roving” ( tiro di campagna ) su bersagli e sagome in compagnia dei miei nipoti.

V: Hai mai dovuto affrontare una brutta situazione durante un’uscita di pesca?

P:  In Cecoslovacchia, a seguito di un’apertura di una diga. Siamo finiti a bagno trascinati dalla corrente con il serio rischio di affogare

V: Quello delle aperture delle dighe è un problema che conosciamo molto bene, soprattutto noi lombardi in Valtellina.
Hai qualche personaggio conosciuto di cui vuoi parlarmi?

P:  Nel 1976 mi occupavo della progettazione di nuovi prodotti per la società RP. Proprio in quell’anno, pensando a una collezione di mosche da inserire nel nostro circuito vendite, la scelta cadde su Aimè Devaux. Si trattava di far superare ai moschisti di allora il concetto di imitazione perfetta, e concepire un artificiale come una sintesi di forma, colore e taglia. Aimè, da principio titubante, accettò l’incarico e nel 77 usci un catalogo ( 20.000 copie !! ) unico nel suo genere: 250 riproduzioni a colori su carta pregiata.
Poi ti posso parlare di Buck Metz che, allevatore di polli da generazioni, ma appassionato pescatore a mosca, fece schiudere una partita di uova selezionate da un amico. I pulcini che nacquero furono l’inizio della razza “blue dun” di Metz.
Di italiani Giorgio Dallari, per esempio. Cacciatore ( pentito ) e pescatore da sempre, e grande fumatore di pipe. Un bel giorno venne a sapere da un cliente che questi si costruiva da solo le proprie pipe. La cosa lo affascinò e da quel momento divenne imperativo fabbricarsi lo strumento del proprio “vizio”. Nell’89, ormai esperto nella lavorazione della radica, maturò l’idea del mulinello. Io ne possiedo due esemplari e devo dire che li ho usati in varie circostanze, dalla pesca in torrente ai salmoni dell’Alaska, ai bonefish di Cuba, con grande godimento per la vista e per l’eccellente funzionalità in azione.
Il compianto Franco Vivarelli. In un mio articolo nel lontano 1987, affermavo che negli ultimi venti anni, due erano state le novità tecnologiche veramente significative che riguardavano la pesca a mosca: l’avvento dei compositi di carbonio e il mulinello semiautomatico di Franco Vivarelli. Oggi, a distanza di anni, potrei affermare che sono ancora della stessa idea, pur con qualche eccezione.
Massimo Gigli, straordinario grafico e amico di sempre. In una serata tra amici, mi fecero costruire alcune mosche. Quella sera mi colpi la capacità di Massimo di riprodurre su disegno i vari passaggi costruttivi. Da quel momento è iniziata una lunga collaborazione. Con lui ho trascorso molte giornate sul fiume e vissuto tante avventure insieme. Lo considero un vero pescatore. Ha intuito e improvvisazione creativa. E’ un vero piacere vederlo in azione.

V: Dai un augurio alle nuove generazioni.

P:  Cercate di guardarvi attorno. Abbiamo sul nostro territorio una ricchezza notevole, dobbiamo solo valorizzarla, e poi ….un po’ più di altruismo. Questo ultimo pensiero sa di persona anziana, ma un tempo dedicavamo molto all’insegnamento, alla trasmissione di una filosofia di pesca per accompagnare sul fiume un nuovo adepto. Adesso tutti vanno per conto loro . Aggiungo anche di non vivere la vita in competizione. La vera felicità sta nella condivisione.
Non ricercate ideali come denaro e potere. Disgregano la società e producono individualismi all’eccesso.
Nella vita ho cercato di seguire esattamente quello che ti ho appena detto, e alla mia età sono molto sereno e appagato.

V: Grazie Piero, bel pensiero.

Valerio Santagostino (BALBOA)

 

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