I pesci sentono il dolore?
17/03/08 - Sotto la lente
17/03/08 Testo e foto di Valerio BALBOA Santagostino

Ogni tanto, quando spiego a ignari conoscenti di che cosa si tratta il no-kill, scorgo sui loro volti un’espressione quasi di rimprovero. " Ma come, li pungi e poi li rilasci ? ", sembra quasi mi dicano inorriditi. Cerco di spiegargli gli ami barbless, la consuetudine di schiacciare l’ardiglione e la tecnica di slamamento. La mente però mi richiama immediatamente a un paio di arnesi, che definirli poco ortodossi, è un complimento. Il boga grip, per esempio.
E’ una ganascia che non lascia scampo alla mandibola del pesce. Buca la carne quasi quanto un altro strumento poco "gentile": il raffio. A nostra parziale discolpa va detto che sono due strumenti usati su pesci con i quali è molto difficile la slamatura, per via della mole del pesce o dei denti terribilmente aguzzi. Se avrò la fortuna di pescare grossi tarponi, probabilmente anch’io non mi sottrarrò all’uncino.
Come più volte detto sul nostro forum, e ribadito anche sui libri, una certa attenzione nello slamare il pesce è sacrosanta, sempre che gli si voglia ridare la libertà. Un pesce di notevole stazza, alzato per la coda, potrebbe riportare delle serie fratture alla spina dorsale. Lo stesso discorso vale se maneggiato con poca cura all’altezza dello stomaco.
I suoi organi interni potrebbero uscirne danneggiati. Stesso discorso vale per abrasioni, urti accidentali, colpi inferti accidentalmente alla preda e mano non bagnata. Ricordiamoci anche di ossigenare la preda.
Nutro molte perplessità invece verso carnieri, durante una gara di pesca, fatti con catture ancora agonizzanti, ubbidendo esclusivamente a una logica di velocità di slamatura, come mi è capitato di vedere nel nostro paese.
Lo stesso discorso vale per i pesci dei laghetti a pagamento, lasciati spesso dibattersi nei secchi della vernice, come se fossero diversi dai loro fratelli "nobili" dei fiumi e dei torrenti. Ma questa è un’altra storia.
Dando per scontato tutte queste avvertenze, permettetemi però anche di essere indulgente sulla fotografia che ogni pescatore fa in seguito a una cattura degna di nota. E che spesso è frutto di accese discussioni.
Si vive rispettosi delle leggi degli uomini e di Dio. Ogni tanto credo, anzi forse è "quasi doveroso", si possa cedere a questa innocua tentazione.
Anche il nostro personale Ego e l’album dei ricordi vanno nutriti..
..Gli articoli di pesca sarebbero anche molto noiosi senza fotografie!!
Il fatto che i pesci, freddi e viscidi e magari anche dall’odore non proprio gradevole, siano quasi snobbati come creature viventi, non è un mistero. Molto raramente, al posto di un bel cucciolo di cane, o di un gattino morbidoso, si regala alla propria famiglia un pesce. E purtroppo un pesciolino che si dibatte disperatamente all’asciutto ha sempre fatto infinitamente meno impressione di un mammifero ferito.
L’unica grande "sfiga" dei pesci, a detta di tutti, è la mancanza di voce. Solamente il sacrificio dei tori nelle arene di Spagna, Francia e Messico può ricordare questo binomio : voce = dolore.
Proviamo una volta a "banderillare" sul groppone un porco di due quintali e vediamo cosa succede!! Credo che per le urla selvagge e strazianti, l’arena si svuoterebbe in un battibaleno.
"Reviews in Fisheries Science" è un periodico poco noto che circola di rado all’infuori di una stretta cerchia di scienziati specializzati. Ma quando nel 2002 James Rose, professore di zoologia e fisiologia all’University of Wyoming di Laramie, vi fece il punto delle nostre conoscenze sul cervello dei pesci, concludendo che il pesce non può provare dolore, le sue scoperte fecero il giro del mondo.
La coscienza del dolore, sostiene Rose, richiede il funzionamento di specifiche zone dell’emisfero cerebrale, assenti nei pesci a causa della loro diversa storia evolutiva.
I pesci hanno un sistema nervoso che consente loro di rispondere a stimoli fastidiosi e dannosi per i tessuti, stimoli che per noi sarebbero dolorosi: queste reazioni però non implicano una coscienza. Non sorprende che tale conclusione fu bene accolta dai "pescatori"
E fin qui la mia posizione di pescatore a mosca, il più possibile diligente e dedito al no-kill, è "quasi" inattaccabile.
Ma la Germania non è della stessa idea di Rose e se io pescassi in quel paese adottando le misure sopradescritte avrei qualche problemino. La Germania ha bandito la pratica del C&R per tutte le tecniche di pesca.
In quel paese, il partito dei Verdi, credo molto potente visto i risultati ottenuti, ha proibito il No-kill "obbligando", soprattutto i pescatori a mosca, accesi sostenitori di questa pratica, a tenerlo.
C’è una sorta di ritorno alle origini dietro a questa legge, quando l’uomo usciva con la clava ( canna da pesca) e tornava nella caverna con il cinghiale sulle spalle ( pesce). Divertiti pure a pescare ma ciò che catturi te lo mangi, questa in sintesi la filosofia teutonica.
Gli amici tedeschi mi hanno confermato che le guardie forestali non scherzano per niente sull’argomento. Muniti di cannocchiale o nascosti nel bosco controllano che ciò avvenga. Le pene ai trasgressori di questo reato sono molto più dure rispetto al fatto, per esempio, di pescare con la licenza scaduta o di pescare in periodi di divieto. Celebri furono anche delle denunce a redattori-pescatori di magazine di pesca.
Visionando attentamente e calcolando il tempo approssimativo impiegato per scattare le foto di rito, le autorità preposte avevano scoperto che il pesce aveva subito uno stress eccessivo. Ovviamente i moschisti tedeschi non si sono arresi. Nel mondo, sono sicuramente i pescatori ai quali i pesci scivolano di più "inavvertitamente in acqua"..
La Germania e i suoi 90 milioni di anime, ha sicuramente un bel peso specifico in Eurolandia. Se anche dalle nostre parti si arrivasse a una decisione del genere, vi lascio immaginare il caos che ne potrebbe derivare. E forse anche a un depauperamento pressoché totale delle nostre acque.
Alla luce di questi fatti, nei paesi dove invece il No-kill è molto praticato ( perlomeno dai moschisti) gli ami senza ardiglione rivestono una grande importanza. Quelli di ultima generazione, dalla punta sottilissima e forgiata chimicamente, sicuramente hanno una penetrazione più netta e veloce rispetto ai "vintage". "Forse" si potrebbe paragonarli alla sensazione di un ago di una siringa antiquata rispetto a quella di una siringa moderna.
Circola però un’altra teoria sugli ami barbless. Per alcuni studiosi, la loro punta, mediamente più lunga dei normali, e soprattutto non "frenata" da alcun impedimento, ferisce più a fondo la bocca del pesce. Gli ami con ardiglione, invece, sempre secondo questa teoria, si "fermerebbero" prima, senza bucare eccessivamente e raggiungere qualche centro nervoso sensibile.
(amo doppio da salmone con ardiglione esterno)
Ho sempre pensato anch’io comunque che le labbra dei salmonidi siano carnose e non irrorate da sangue, prive di ogni terminale nervoso. O meglio, è la convinzione forse più estesa tra i moschisti, soprattutto tra i no-killisti più intransigenti.
"Le opinioni" di Rose però non furono accettate da tutti. L’anno seguente su Proceedings of the Royal Society, la rivista di una delle accademie scientifiche più antiche e rispettate del mondo ( in passato presieduta da Isaac Newton), apparve un articolo di Lynne Sneddon e altri ricercatori del Roslin Institute dell’Università di Edimburgo. La Sneddon e i suoi colleghi avevano iniettato nelle labbra delle trote iridee acido acetico e veleno di api, scoprendo che gli animali reagivano strofinando le labbra contro le pareti della vasca e cominciando a dondolarsi, proprio come accade ai mammiferi più evoluti sottoposti a stress. Altri pesci , cui era stato iniettato solo del sale marino, non hanno mostrato lo stesso comportamento. In generale, secondo i ricercatori, nelle trote sono avvenuti "profondi cambiamenti comportamentali e psicologici paragonabili a quelli osservati nei mammiferi più evoluti". Questi cambiamenti vanno ben oltre le semplici reazioni di riflesso. Inoltre, quando ai pesci è stata somministrata morfina, essi hanno ripreso a mangiare, proprio come ci si sarebbe aspettati nel caso fossero stati in preda al dolore e la medicina avesse alleviato la sofferenza. I ricercatori hanno dunque concluso che " i pesci provano dolore".
Questa opinione è stata appoggiata da numerosi ricercatori, compreso Culum Brown dell’Università di Edimburgo. Brown ritiene sia sbagliato vedere l’evoluzione come un progresso lineare da animali primitivi e semplici a esseri più complessi e superiori dal punto di vista cognitivo. I pesci esistono da molto più tempo degli esseri umani ma non hanno cessato di evolversi quando i nostri antenati si trasferirono sulla terra ferma. Per questo, afferma Brown, "la struttura del cervello del pesce è complessa e piuttosto diversa dalla nostra, tuttavia il suo funzionamento è molto simile".
Ricordate il mito, a cui è stata data nuova popolarità dal cartone animato ALLA RICERCA DI NEMO, secondo cui un pesciolino rosso ha una memoria di soli tre secondi?
Lo studio di Brown ha dimostrato che per lo meno il pesce arcobaleno australiano di acqua dolce è molto più dotato. Ha addestrato alcuni esemplari a trovare un buco nella rete. Per imparare dove si trovasse il buco e localizzarlo con precisione, i pesci hanno dovuto fare cinque tentativi. A quel punto Brown ha tolto la rete per undici mesi, equivalenti, rispetto alla vita media del pesce arcobaleno, ad almeno venti anni per essere umano. Quando la rete fu ricollocata, i pesci non ebbero bisogno di imparare di nuovo dove si trovasse il buco, lo ritrovarono altrettanto rapidamente di prima che la rete fosse tolta.
Brown mette in luce molte altre imprese cognitive dei pesci, tra cui la capacità di imparare attraverso l’osservazione di altri pesci, cooperare nella caccia al cibo e riconoscere la propria posizione sociale all’interno del gruppo. "..La temibilissima professoressa Sneddon non ci voleva proprio !!..
Mi ha fatto riflettere.
Questo articolo, cari amici, ha come unico scopo quello di rendere noto degli studi fatti da eminenti ricercatori, e al contempo altri, con conclusioni diametralmente opposte.

Come più volte detto sul nostro forum, e ribadito anche sui libri, una certa attenzione nello slamare il pesce è sacrosanta, sempre che gli si voglia ridare la libertà. Un pesce di notevole stazza, alzato per la coda, potrebbe riportare delle serie fratture alla spina dorsale. Lo stesso discorso vale se maneggiato con poca cura all’altezza dello stomaco.


Lo stesso discorso vale per i pesci dei laghetti a pagamento, lasciati spesso dibattersi nei secchi della vernice, come se fossero diversi dai loro fratelli "nobili" dei fiumi e dei torrenti. Ma questa è un’altra storia.
Dando per scontato tutte queste avvertenze, permettetemi però anche di essere indulgente sulla fotografia che ogni pescatore fa in seguito a una cattura degna di nota. E che spesso è frutto di accese discussioni.
Si vive rispettosi delle leggi degli uomini e di Dio. Ogni tanto credo, anzi forse è "quasi doveroso", si possa cedere a questa innocua tentazione.


Il fatto che i pesci, freddi e viscidi e magari anche dall’odore non proprio gradevole, siano quasi snobbati come creature viventi, non è un mistero. Molto raramente, al posto di un bel cucciolo di cane, o di un gattino morbidoso, si regala alla propria famiglia un pesce. E purtroppo un pesciolino che si dibatte disperatamente all’asciutto ha sempre fatto infinitamente meno impressione di un mammifero ferito.
L’unica grande "sfiga" dei pesci, a detta di tutti, è la mancanza di voce. Solamente il sacrificio dei tori nelle arene di Spagna, Francia e Messico può ricordare questo binomio : voce = dolore.
Proviamo una volta a "banderillare" sul groppone un porco di due quintali e vediamo cosa succede!! Credo che per le urla selvagge e strazianti, l’arena si svuoterebbe in un battibaleno.
"Reviews in Fisheries Science" è un periodico poco noto che circola di rado all’infuori di una stretta cerchia di scienziati specializzati. Ma quando nel 2002 James Rose, professore di zoologia e fisiologia all’University of Wyoming di Laramie, vi fece il punto delle nostre conoscenze sul cervello dei pesci, concludendo che il pesce non può provare dolore, le sue scoperte fecero il giro del mondo.
La coscienza del dolore, sostiene Rose, richiede il funzionamento di specifiche zone dell’emisfero cerebrale, assenti nei pesci a causa della loro diversa storia evolutiva.
I pesci hanno un sistema nervoso che consente loro di rispondere a stimoli fastidiosi e dannosi per i tessuti, stimoli che per noi sarebbero dolorosi: queste reazioni però non implicano una coscienza. Non sorprende che tale conclusione fu bene accolta dai "pescatori"
E fin qui la mia posizione di pescatore a mosca, il più possibile diligente e dedito al no-kill, è "quasi" inattaccabile.
Ma la Germania non è della stessa idea di Rose e se io pescassi in quel paese adottando le misure sopradescritte avrei qualche problemino. La Germania ha bandito la pratica del C&R per tutte le tecniche di pesca.
In quel paese, il partito dei Verdi, credo molto potente visto i risultati ottenuti, ha proibito il No-kill "obbligando", soprattutto i pescatori a mosca, accesi sostenitori di questa pratica, a tenerlo.
C’è una sorta di ritorno alle origini dietro a questa legge, quando l’uomo usciva con la clava ( canna da pesca) e tornava nella caverna con il cinghiale sulle spalle ( pesce). Divertiti pure a pescare ma ciò che catturi te lo mangi, questa in sintesi la filosofia teutonica.
Gli amici tedeschi mi hanno confermato che le guardie forestali non scherzano per niente sull’argomento. Muniti di cannocchiale o nascosti nel bosco controllano che ciò avvenga. Le pene ai trasgressori di questo reato sono molto più dure rispetto al fatto, per esempio, di pescare con la licenza scaduta o di pescare in periodi di divieto. Celebri furono anche delle denunce a redattori-pescatori di magazine di pesca.
Visionando attentamente e calcolando il tempo approssimativo impiegato per scattare le foto di rito, le autorità preposte avevano scoperto che il pesce aveva subito uno stress eccessivo. Ovviamente i moschisti tedeschi non si sono arresi. Nel mondo, sono sicuramente i pescatori ai quali i pesci scivolano di più "inavvertitamente in acqua"..

La Germania e i suoi 90 milioni di anime, ha sicuramente un bel peso specifico in Eurolandia. Se anche dalle nostre parti si arrivasse a una decisione del genere, vi lascio immaginare il caos che ne potrebbe derivare. E forse anche a un depauperamento pressoché totale delle nostre acque.
Alla luce di questi fatti, nei paesi dove invece il No-kill è molto praticato ( perlomeno dai moschisti) gli ami senza ardiglione rivestono una grande importanza. Quelli di ultima generazione, dalla punta sottilissima e forgiata chimicamente, sicuramente hanno una penetrazione più netta e veloce rispetto ai "vintage". "Forse" si potrebbe paragonarli alla sensazione di un ago di una siringa antiquata rispetto a quella di una siringa moderna.
Circola però un’altra teoria sugli ami barbless. Per alcuni studiosi, la loro punta, mediamente più lunga dei normali, e soprattutto non "frenata" da alcun impedimento, ferisce più a fondo la bocca del pesce. Gli ami con ardiglione, invece, sempre secondo questa teoria, si "fermerebbero" prima, senza bucare eccessivamente e raggiungere qualche centro nervoso sensibile.

(amo doppio da salmone con ardiglione esterno)
Ho sempre pensato anch’io comunque che le labbra dei salmonidi siano carnose e non irrorate da sangue, prive di ogni terminale nervoso. O meglio, è la convinzione forse più estesa tra i moschisti, soprattutto tra i no-killisti più intransigenti.
"Le opinioni" di Rose però non furono accettate da tutti. L’anno seguente su Proceedings of the Royal Society, la rivista di una delle accademie scientifiche più antiche e rispettate del mondo ( in passato presieduta da Isaac Newton), apparve un articolo di Lynne Sneddon e altri ricercatori del Roslin Institute dell’Università di Edimburgo. La Sneddon e i suoi colleghi avevano iniettato nelle labbra delle trote iridee acido acetico e veleno di api, scoprendo che gli animali reagivano strofinando le labbra contro le pareti della vasca e cominciando a dondolarsi, proprio come accade ai mammiferi più evoluti sottoposti a stress. Altri pesci , cui era stato iniettato solo del sale marino, non hanno mostrato lo stesso comportamento. In generale, secondo i ricercatori, nelle trote sono avvenuti "profondi cambiamenti comportamentali e psicologici paragonabili a quelli osservati nei mammiferi più evoluti". Questi cambiamenti vanno ben oltre le semplici reazioni di riflesso. Inoltre, quando ai pesci è stata somministrata morfina, essi hanno ripreso a mangiare, proprio come ci si sarebbe aspettati nel caso fossero stati in preda al dolore e la medicina avesse alleviato la sofferenza. I ricercatori hanno dunque concluso che " i pesci provano dolore".
Questa opinione è stata appoggiata da numerosi ricercatori, compreso Culum Brown dell’Università di Edimburgo. Brown ritiene sia sbagliato vedere l’evoluzione come un progresso lineare da animali primitivi e semplici a esseri più complessi e superiori dal punto di vista cognitivo. I pesci esistono da molto più tempo degli esseri umani ma non hanno cessato di evolversi quando i nostri antenati si trasferirono sulla terra ferma. Per questo, afferma Brown, "la struttura del cervello del pesce è complessa e piuttosto diversa dalla nostra, tuttavia il suo funzionamento è molto simile".
Ricordate il mito, a cui è stata data nuova popolarità dal cartone animato ALLA RICERCA DI NEMO, secondo cui un pesciolino rosso ha una memoria di soli tre secondi?
Lo studio di Brown ha dimostrato che per lo meno il pesce arcobaleno australiano di acqua dolce è molto più dotato. Ha addestrato alcuni esemplari a trovare un buco nella rete. Per imparare dove si trovasse il buco e localizzarlo con precisione, i pesci hanno dovuto fare cinque tentativi. A quel punto Brown ha tolto la rete per undici mesi, equivalenti, rispetto alla vita media del pesce arcobaleno, ad almeno venti anni per essere umano. Quando la rete fu ricollocata, i pesci non ebbero bisogno di imparare di nuovo dove si trovasse il buco, lo ritrovarono altrettanto rapidamente di prima che la rete fosse tolta.
Brown mette in luce molte altre imprese cognitive dei pesci, tra cui la capacità di imparare attraverso l’osservazione di altri pesci, cooperare nella caccia al cibo e riconoscere la propria posizione sociale all’interno del gruppo. "..La temibilissima professoressa Sneddon non ci voleva proprio !!..

Questo articolo, cari amici, ha come unico scopo quello di rendere noto degli studi fatti da eminenti ricercatori, e al contempo altri, con conclusioni diametralmente opposte.
Brani presi da: "Come mangiamo" di Singer e Mason

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