Un approccio.. "ragionato" alla pesca a ninfa

UN APPROCCIO … “RAGIONATO” ALLA PESCA A NINFA
(prima parte)

di Roberto Blanchi (CZECHER)


Approdato alla pesca a mosca nell’agosto del ’93, dopo oltre vent’anni di attività di pesca con esche naturali, le mie prime “sperimentazioni” di pesca con la “frusta” sulle rive di un torrente videro le evoluzioni, degne di un domatore da circo, di una coda “DT 5” calzata su una 7’ 6’’ , dall’azione piuttosto incerta.

L’acquisto di una canna 7’6’’, nonostante il tentativo del negoziante di indirizzarmi verso una 8’6’’, era stato ispirato dalla immediata sensazione di leggerezza e maneggevolezza che era emersa dall’aver armeggiato per pochi istanti l’attrezzo fuori dal negozio (il “mitico” Walter Bartellini, che tanti pam ha tenuto a battesimo all’ombra della Mole Antonelliana).
Sensazione di leggerezza e libertà che avevo subito associato al concetto di pesca a mosca e che mi aveva quindi convinto all’acquisto della mia prima attrezzatura! (canna+mulinello+coda+finale+scatolina per le mosche e dieci mosche omaggio e qualche altro ammennicolo = 100.000 lire).

Pesca a mosca secca, rigorosamente secca !! Questo infatti era l’unico modo di interpretare la pesca a mosca prefiguratomi leggendo le varie riviste di pesca che avevo riesumato in quei giorni dalla cantina, ansioso ora di andare a rivedere, con attenzione, quegli articoli a cui un tempo avevo riservato uno sguardo superficiale.

Trascorso un anno e mezzo da quel giorno, con decine e decine di mosche strappate sui rami dei salici e delle acacie, di due “aperture” di stagione con mezzo metro di neve sulle sponde, di pesca in fiumi in piena, di gelide giornate invernali, rigorosamente … a secca … perché “QUELLA” era la pesca a mosca, altrimenti sarebbe stato tornare alla “pesca al tocco”, e di un’interminabile serie di … “cappottini”, ho realizzato che, probabilmente, qualcosa nel mio modo di gestire la tecnica “pam” andava rivisto. Sempre sulle riviste (dell’epoca), mie uniche muse ispiratrici, essendo autodidatta doc, purtroppo non è che avessi appreso grandi cose, si parlava genericamente di “sommersa”, di “trenino a discendere”, di “pesca della disperazione … quando proprio uno non vuole risalire in macchina e … tornare a casa”, di “lancia, metti in tensione, e spera di … sentire lo strappone”.

Insomma non è che avessi inteso la pesca “sotto” come un’esperienza emozionante, paragonabile alla “secca”, eppure, il frequentare le rive dei fiumi in ogni stagione/situazione, mi aveva chiaramente fatto capire che … qualcosa andava cambiato nel modo di affrontare la pesca, se avessi voluto ottenere dei risultati positivi con una certa costanza.

D’altro canto, i pochi pescatori a mosca che avevo avuto modo di conoscere sino a quel momento, asserivano con fare “cattedratico” che l’inverno era la stagione della costruzione, non certo della pesca! E la primavera? Bè, lì c’era il disgelo, i livelli erano alti e quindi bisognava … aspettare! E poi? Bè, poi dopo c’erano le piogge quindi a maggio-giugno si sarebbe incominciato a pescare. E poi? Poi l’afa estiva, i livelli bassi. Si doveva aspettare settembre/ottobre per i temoli. Insomma, molta pesca “parlata” in bottega … ma lor signori, code e mosche, certo non le “consumavano” sui fiumi!!
Detto fatto, un giorno, la drastica decisione! Da domani si cambia! Acquisto di nr. cinque “ninfe” in negozio (rigorosamente non appesantite!) e poi subito a casa a copiarle! Siccome però il mio modo di vivere e sentire la pesca è sempre stato molto “personalizzato”, da subito ho incominciato a sfornare improbabili dressing, che ai miei occhi di principiante apparivano deliziose imitazioni dopo gli sforzi al morsetto, salvo poi, trascorso qualche giorno, rimanere inorridito all’apertuta della fly-box, innanzi a quello spettacolo orripilante.

Insomma, per farla breve, circa un anno di “pesca sotto” priva di convinzione, con la netta sensazione di essere un … imbelle … che “tuffava” una “cosa” che sembrava a tutto meno che un insetto acquatico.

Per fortuna le trote sanno essere molto comprensive con i principianti e quindi, di tanto in tanto, sentivo quel famigerato “strappone” che mi faceva sobbalzare dal torpore ( o incazzatura?) di non capir bene perché e percome mi trovavo quel pesce agganciato all’estremità del finale.
Durante un pomeriggio primaverile trascorso sul torrente Chisone però avvenne la svolta, quella decisiva. Nel frattempo avevo acquistato una 8’ un po’ più performante, dopo essermi fabbricato in proprio una 9’, “mutilando” una canna ad innesti per la pesca al colpo all’inglese, avendo intuito che una canna un po’ più lunga mi avrebbe comunque agevolato nell’azione di pesca.
Vi dicevo che quel pomeriggio, anziché pescare a discendere, infrangendo tutti i sacri testi assimilati sino ad impararli a memoria, avevo azzardato qualche lancio a monte, così giusto per allungare la coda e … perbacco! Mi ero trovato una trota … o meglio una trota si era auto-impiccata sul mio sgorbio di pelo.

Ma la cosa interessante è che non avevo avvertito il solito “strappone”, ma qualcos’altro era successo! Non sapevo ben descrivere cosa, ma il fatto mi fece riflettere, … vuoi vedere che … buca successiva, ripeto di nuovo il lancio contro corrente, la coda precipita a valle trascinata dai flutti, accid … stò mulinello fa le bizze … ma ora riesco a riprendere in mano la situazione … recupero coda, recupero coda e … nooooo, anzi … sìììììì!! Un’altra trota (agganciatasi da sola)!! Ora è troppo, mi siedo su una pietra e cerco di capire. Due pesci, uno dietro l’altro? Possibile? Non può essere una casualità. Forse le trote “mordono” le ninfe e non si cibano esclusivamente di “secche”??. Mi guardo attorno dopo essermi accorto di aver probabilmente esternato i miei pensieri a voce alta … e in modo “colorito”.
Non c’è nessuno per fortuna, e almeno per oggi non sarò internato. Riprendo a pescare, questa volta con più determinazione. Dunque, allora … lancio a monte … stà volta non mi faccio fregare, lancio più corto e alzo subito la canna altrimenti la corrente si porta via tutto, dunque, la coda vien verso di me, si ferma … si ferma? … Perché si ferma? Lì ostacoli non ne vedo … alzo la canna … terza trota … scrollone e stavolta se ne và. Imprecazione!! Naturalmente era la più bella! Non importa, ormai sono al settimo cielo, allora è vero, allora funziona, allora di trote c’è né in questo fiume, allora … troppi “allora”. Adesso si pesca. Morale della favola, in un pomeriggio, con un’attrezzatura di certo improvvisata con l’esperienza di oggi, catturo più che in un anno intero di “esperimenti”, se non altro, sicuramente, con più soddisfazione, in quanto la cattura è cercata, sentita, studiata … non è lo “strappone” casuale tanto decantato dai fautori del “lancio a 45°, metti in tensione e … spera. “
Da allora è stato un continuo crescendo di nuove esperienze ed emozioni, l’attrezzatura è stata implementata con cognizione di causa, sono arrivate le prime “pheasant-tail” appesantite con rame, e le catture sono giunte con … regolarità.

Non più quindi “pesca della disperazione”, bensì approccio al torrente ragionato, conscio ormai che la maggior parte dell’alimentazione di trote e temoli passava … per il fondo.

Ora il mio modo di concepire la pam è aperto a 360°, nel mio gilet trovano quindi posto scatole di ninfe, secche, emergenti e streamers … perché no! Non voglio precludermi la possibilità di “tentare” su quel pesce visto in “quell’angolo” particolare del fiume o “saltare” quella particolare situazione d’acqua perché mi manca l’artificiale giusto.

La pesca a ninfa quindi non è stato un passaggio per rendere le cose “facili”, bensì per affrontare il pesce assecondandone i ritmi biologici; se il pesce non ha intenzione di “salire” poiché in quel momento gli insetti di cui si ciba sono “al piano di sotto”, perché pretendere qualcosa di innaturale in quella situazione?.

Dopo questa introduzione al mio modo di intendere la pesca a mosca, passeremo ad analizzare, nella seconda parte, attrezzature e modi per affrontare il torrente, mio ambiente elettivo di pesca.


Roberto Blanchi


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