SVK - A pesca in Slovacchia

Slovacchia  08/07/03

Testo e foto di Beppe Saglia (beppe s.)



A decidere ci abbiamo messo 5 minuti. Quando Edoardo, mi chiama e mi dice: devo andare a vedere i campi gara dei prossimi mondiali, appartamento in Hotel da 40€ a notte (per tre), contatti giusti in loco per la pesca, due posti disponibili, interessa? Ceeeerto che interessa. Un colpo di telefono a pga, e l’equipaggio, tutto rigorosamente L & R Fly Club, è pronto.
Sono 1350 km, tanti, la logica suggerirebbe di dedicarci un giorno intero. Ma dei tre, due sono animali da pesca (indovinate chi) e con la scusa di ritagliarsi un paio d’ore per il coup de soir si anticipa di telefonata in telefonata l’ora di partenza sino a fissarla ad un mostruoso 2.00 (a.m.) a casa mia. Ero arrivato da tre ore, in giro con moglie per la valle del Reno, mi ero appena spupazzato 1000 km, ed ero in piena euforia guidatoria. Un’altra volata di quattro/cinque ore per arrivare al confine con l’Austria, ultimo caffè italiano, poi crollo a dormire. L’Austria la conosco ormai bene. Le antenne si rizzano da Bratislava in poi. Tutta una novità. Prima la lunga piana, estensivamente coltivata, poco abitata, calda come calda è questa pazza estate europea, poche piante, spontanee quelle poche, poche vacche, pochi canali. Sulla sinistra in lontananza le colline del Malle Karpaty a muovere l’orizzonte. Poi, attraversato quasi senza accorgercene quello che sarebbe stato il nostro fiume base, ovvero il Vàh, ridotto poco più che ad un canale stagnante, ci siamo portati lungo il corso del Hron, bel fiume di fondovalle, massacrato però da scarichi industriali e con mega centrale nucleare in bella vista. Di li a risalire tra colline ancora verdi seppur vogliose d’acqua, sino a Banska Bystrica, ultimo insediamento industriale di rilievo della valle. A monte il miglior Hron, che abbiamo lasciato per la prossima volta.
Abbandonata la valle ci siamo inerpicati attraverso il Nitze Tatry, ossia la parte più a Sud del Tatry Park, parco nazionale, verde e bello che si estende fino alla Polonia ed è diviso a meta dall’ampia valle del fiume Vàh, nostra metà primaria.
Arrivo verso le 16, con due certezze.
Una di carattere sociale, legata all’evidenza di una società in veloce trasformazione, dove i cimeli del vecchio apparato sono ancora radicati e leggibili, più sul territorio e le sue infrastrutture che sui volti della gente, ormai in gran parte lanciati verso la globalizzazione. Ma anche l’elevato numero di modernissimi hotel e centri commerciali che stanno caratterizzando le parti più belle del parco dicono chiaramente che una certa strada è stata imboccata. Speriamo sia quella giusta.
La seconda è che si può ancora mangiare un pasto completo, birrone compreso con 3 o 4 euri. Pasto più che decente se solo si sapesse come si dice fegato in slovacco. Io odio il fegato. Al primo pranzo ho pensato fosse improbabile beccarlo tra i trecento secondi proposti di cui ignoravo completamente il significato. Dito alla cieca sul menu e provate a dire cosa mi hanno servito?
Come nei migliori programmi siamo riusciti ad essere puntuali sulla tabella di marcia. Alle 17.00 eccoci a bere una birra al bar dell’Hotel con Josez, il CT della nazionale polacca, amico di Edoardo, che ci consegna i permessi e ci illustra con dovizia di particolari le varie possibilità di pesca. Un’ora dopo siamo sull’Vah, a monte della confluenza con il Bela. Finalmente si pesca, inizia tra me ed Edo il simpatico duello tra secca e ninfa, con esiti altalenanti ma mai scontati. Con Alberto a seguire ritmi più umani, anche troppo umani, dal momento che un paio di volte abbiamo dovuto recuperarlo addormentato sulle rive di un fiume.
Pescare con Edoardo mi è stato molto utile. Un personaggio di spessore, colto e goliardico. Una lunghissima esperienza, un passione per il naturale che anni di gare e ora di dirigenza tecnica, non hanno minimamente scalfito.
Come mio costume lascio parlare le immagini che possono dire e dare qualcosa in più di tante parole. Sono quel che sono. La digitale è rimasta a casa, meno male che c’era la vecchia K1000 di riserva.


Una serie di immagini che esulano dalla pesca, tese piuttosto a catturare alcuni aspetti di una società che cambia, ma ancora non è completamente cambiata. Società contadina ed industriale con confini mai troppo marcati, al limite del caos urbanistico.


Una cicogna ed una ciminiera. A volta una cicogna su una ciminiera, quando questo è solo più un simbolo spento dell’industrializzazione socialista. I simboli del vecchio regime sono, e non potrebbe essere diversamente, fortemente presenti a ancora caratterizzano il territorio.


La civiltà industriale aveva ed ha bisogno d’acqua. Lungo i principali fiumi, le più grosse industrie. Con gli operai ad abitare quartieri di periferia in casermoni senza fantasia, che solo dalla calda luce del tramonto, prendono un aspetto meno freddo, meno desolante.


Poche centinaia di metri di distanza e riprende il sopravvento la società contadina, semplice, aperta, ed arrangiona. Qui si vedono i contrasti più evidenti. Trattori di ultima generazione (pochi peraltro) accanto a carri in legno, asini e buoi. Anche e specialmente qui, il fiume come amico, risorsa primaria e polo aggregante dei piccoli villaggi che vi si affacciano.


E’ l’aspetto che mi ha colpito di più della Slovacchia. Il vivo rapporto delle persone di fiume con il fiume, rapporto che da noi si è perso da tempo. Sia che gli si immerga un’improbabile generatore di energia, sia che si vada semplicemente a sciacquare i panni sporchi.


Sia che si cerchi le due trote da mangiare a sera, sia solo che vi si porti il cane a passeggio. Le sponde dei fiumi sono animate di sera da frotte di ragazzini e di giovani, che ci giocano, o semplicemente si ritrovano a chiacchierare o ad amoreggiare.


Un vecchio ponte sospeso in ferro e legno, come ancora se ne vedono nella vicina Slovenia, a sottolineare come il fiume non divide ma unisce le genti che sulle sue sponde ci vivono. Questi sono ponti per la gente, non per la società produttiva ed i suoi bisogni.


E nel preservare le potenzialità dell’amato fiume, dimostrano di essere tutt’altro che arretrati. Ad ogni sbarramento una scala di monta. Peccato che a livello di depurazione delle acque, civili ed industriali, non siano ancora (almeno pare) a livello della media europea.


Parliamo di acque, acque da pesca, acque da mosca. La sensazione è quella di vivere l’Italia della mia infanzia, come se li l’orologio fosse fermo a quarant’anni fa. Fiumi e torrenti in cui ancora l’acqua scorre tutto l’anno, vi scorre in alvei abbastanza naturali, con sponde non arginate salvo che in prossimità di centri abitati. La qualità dell’acqua pare discreta, da sensazione visiva, dagli insetti e dai pesci che ci sono, dagli usi che ne fanno le persone. I pesci presenti in tutte le classi di età, anche se il prelievo c’è e non è indifferente, e quindi la taglia dominante è quella al limite della misura minima, che è comunque tale da garantire almeno la riproduzione naturale. Li ritengo elementi positivi, non tali tuttavia da giustificare uno specifico viaggio di pesca, vista anche la distanza.


Il Vah a LiptovskyHaradok. Trote e temoli di taglia discreta, per discreta intendo sui trenta cm, niente di esaltante, ma comunque divertente. La secca a sera ha funzionato benissimo, meglio della ninfa, sia su pesce attivo che cacciando i sottoriva. I locali pescano essenzialmente a ninfa, con finali sottilissimi attaccati direttamente alla coda. Ninfe piccoline in filo, affondanti e subito in pesca.


Il Vah a Liptovsky Mikulas. Zona No Kill. La portata è aumentata di parecchio, il fiume è ormai largo una trentina di metri, difficilmente guadabile. La taglia dei pesci sale di conseguenza. Come la difficoltà di cattura. Grandi bollate, specialmente la sera, un sacco di rifiuti. Ci sono, oltre agli huco, trote, temoli di buona taglia, e dei bastardissimi parenti dei cavedani, con pinne ventrali rosse, di taglia notevole anche oltre il chilo, che ninfano sotto superficie con gorghi mostruosi e che ci hanno fatti letteralmente disperare.


Il Vah a Ruzomberok. Grande fiume, che conserva pesci nobili, prima di disperdersi nella pianura slovacca. Portata notevolissima, accessi difficoltosi con quei livelli.
Ci spiegava il CT slovacco di come fosse uno dei posti migliori d’Europa per il temolo, con taglie molto importanti, ma che purtroppo, tutto il mondo è paese, ha subito massicce perdite nel conflitto con i cormorani.


Il torrente Bela, nella sua parte bassa, prima della confluenza col Vah. Acque cristalline, qualità ambientale in crescita, parecchio pesce, trote e temoli, ma di taglia assai ridotta, diciamo attorno ai venticinque centimetri. Qui la ninfa di Edo ha avuto un netto sopravvento sulla secca.


La parte alta del Bela, molto scenica, in mezzo ai boschi, con veloci raschi e buche profonde. Tutto molto naturale ed intatto. Trote di qualità, taglia da montagna, pesce a volte selettivo a volte aggressivo sulle grosse sedge in pelo di cervo, ma molto sospettoso. Un lancio lungo, ben presentato, una coda leggera, si sono rivelate armi vincenti.


Lo stupendo fiume Orava. Riuscire a pescarci è stata un’impresa titanica iniziata alle otto del mattino e finita alle tre del pomeriggio. Senza l’aiuto di due componenti della nazionale Polacca, che conoscevano la lingua sarebbe stato impossibile arrivare a fare i permessi. Sballottati da un ufficio turismo ad un negozio di pesca, da un Comune ad un Ente, da un funzionario ad un guardapesca, abbiamo penato ore per aver una licenza. Giunti sul fiume, un cantoniere a cui abbiamo chiesto info, ci ha estorto l’ultimo balzello, sostenendo che per quel tratto occorreva un suo benestare. Da esaurimento nervoso. Alla fine tanto stress e poca spesa, per un fiume vero, con ampia portata ma tutto accessibile.


Edo e i polacchi a inanellare un temolo dopo l’altro a ninfa nelle veloci e basse correntine. Pesci piccolini, ma tanti e divertenti. Io mi sono avventurato lungo il fiume, tappezzato da letti di pseudobarbi enormi, che non sono riuscito ad agganciare. Poi è iniziata una bella schiusa, ho preso un paio di belle trote, qualche temolo e i soliti similcavedani superbastardi, stavolta castigati con una doppia mosca frutto delle elucubrazioni serali mie e di Edo al morsetto. Un parachute a sostenere una ninfetta collegata con un centimetro di filo si nylon. Micidiale.


Due parole sui pesci, ma qualcosa si è gia detto. C’è di tutto e di tutte le taglie. I caratteri osservati nelle trote non fanno pensare ad un unico ceppo, ma anche li a manipolazioni e immissioni successive, come quasi in ogni parte del mondo ormai. Nella foto una bella trota dell’Orava, persa prima di prenderla in mano. Trota ovviamente da non contare secondo il metodo Piller.
A proposito di attrezzature io ho sempre usato canna sette e mezzo coda due o tre, Edo una Palu coda cinque, Alberto ha spaziato con varie soluzioni intermedie.


Un bel temolone del Vah catturato a ninfa da Edo. Quelli di taglia interessante, attorno ai quaranta sono stati veramente pochi. Quelli più grossi ancora solo assaporati dai racconti dei locali. I locali come deontologia di pesca lasciano alquanto a desiderare. Almeno con chi hanno chiaramente identificato come foresto. Tralascio di descrivere con dovizia di particolari (mi tornerebbe il magone) come uno di questi, a cui evidentemente piaceva la mia posizione a fine buca su temoli in bollata, abbia fatto di tutto per rovinarmi la pesca sino ad entrare nella buca, acqua alle ascelle, dieci metri davanti a me.


Le trote del Bela. Colorate come le sue acque cristalline. Disposte a salire su grosse sedge o su minuscole arpo, senza soluzioni intermedie. In queste acque una coda leggera, meglio se abbinata ad un bel moscone vistoso che si adagia in acqua delicato, può fare danni.


La taglia purtroppo dominante dei temolotti. Venticinque centimetri. Forse in altre stagioni, con altri livelli, con altre schiuse, chissà…


Eccolo il pinnarossa che ci ha fatto dannare. Bolla con la regolarità di un temolo, ma è estremamente più selettivo. I fiumi ne sono pieni. Pensarlo come un cavedano vuol dire non rendere onore ad un pesce estremamente interessante per la PAM, che richiede il massimo di raffinatezza tecnica.


Finisco la carrellata con una foto emblematica. Una grossa bollata. Niente di apparente sull’acqua. La pinna dorsale che emerge nel classico segnale del pesce che ninfa sotto il pelo dell’acqua. Situazione intrigante ma dove spesso si esce con le ossa rotte.


Una vera sorpresa è stato in negozio di pesca ESOX di Liptosky Mikulas. Fornitissimo di ogni tipo di materiale da costruzione. Nonostante prezzi incredibilmente bassi siamo riusciti a dilapidare una fortuna. Dopo il nostro passaggio (ripetuto tre volte) i titolari hanno chiuso e si sono concessi una settimana di vacanza. Ho comprato di tutto, dal cervo tinto nelle più incredibili varietà di colore (il viola si è rivelato eccezionale senza una evidente ragione) ad una scorta per la vita di ami Owner da mare ad un terzo del prezzo di mercato, per finire all’aromatizzante da siluro che Alberto mostra senza pudore. Provato in acque nostrane non ha reso un tubo, in compenso l’ho rovesciato sul giubbotto rendendolo inservibile per la puzza.


Una emblematica immagine di chiusura. Io ed Edo, che ce la stiamo giocando, un colpo a testa, per decretare la superiorità o meno tra ninfa e secca. Però rilassati, senza competitività, ma con la voglia di provare soluzioni che tra l’altro potrebbero essere utili alla nazionale, visto che su quelle acque tra pochi giorni si disputa il Mondiale. Ho sempre sostenuto la mia avversità alle gare, quelle classiche, con pesce buttato e poi chillato. Questa vacanza e l’amicizia con Edo, oltre che con Edy Wan e altri garisti, mi ha portato ad esser più tollerante verso quelle competizioni a livello internazionale che si svolgono No Kill su pesce selvatico.
Come già detto non mi sentirei di indirizzare qualcuno in quei posti solo per pescare. Ci sono alternative migliori più vicino a casa. Però la pescata, abbinata ad una vacanza di turismo, di cultura e soprattutto di bassissimo costo, ci sta eccome.


Beppe Saglia



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