ITA - Canyoning e pesca a mosca

Italia Luglio 2007


Testo e foto di Massimiliano Perletti e Valerio Santagostino (BALBOA)


L’idea è venuta a Massimiliano (Mamo per gli amici). Finite le scuole aveva portato il figlio Martino di nove anni in Valsesia a fare “canyoning” – o se preferite “torrentismo”, per dirla all’italiana - discendendo il torrente Sorba, laterale di destra del fiume Sesia.
Il canyoning consiste sostanzialmente nella discesa a piedi di torrenti che scorrono all’interno di strette gole, caratterizzati da una portata d’acqua ridotta (in genere inferiore ai 250 litri al secondo) con media o forte pendenza. Per questo motivo le rive dei torrenti nella pratica del canyoning risultano spesso inaccessibili e una volta intrapresa la discesa non è generalmente possibile tornare indietro ma solo proseguire fino all’uscita.
Gli ostacoli all’interno di una forra sono rappresentati principalmente da salti d’acqua e cascate che sono superati con l’ausilio di corde e, dove possibile, con tuffi, scivolate o passaggi di arrampicata in discesa. Spesso alla base delle cascate vi sono laghetti naturali o grosse pozze che devono essere attraversate a nuoto.
La giornata di Mamo e del suo giovane Indiana Jones è stata memorabile e ricca di forti emozioni.
Tra un tuffo e una scivolata in naturali toboga scavati nella roccia, l’occhio era spesso caduto su timide bollate nei pochi tratti d’acqua più calma. Calandosi con corda e imbracatura da dirupi a picco sul torrente era stato possibile avvistare dall’alto, sospesi nel vuoto, anche qualche bella trotella nella pozza sottostante.
Ecco allora che scatta l’idea!!!!.
Riprovare la discesa del torrente con canna da pesca e mosche, con la speranza di catturare qualche trota selvatica in acque assolutamente inaccessibili se non muniti di muta, moschettoni, corda, chiodi e ancoraggi.
Il compagno ideale a cui proporre l’avventura non poteva che essere Valerio Santagostino (Balboa per gli amici di Pipam). Caro amico, matto quanto basta per condividere l’iniziativa e che, quanto a entusiasmo per le sfide, non ha rivali. E Balboa non si è fatto pregare.
Con le rispettive famiglie ormai in vacanza, abbiamo quindi deciso di fare la “zampata” rubando un pomeriggio di lavoro di un mercoledì di fine Luglio.
Arrivati al centro Eddyline di Campertogno, proprio di fianco al campeggio “il Gatto e la Volpe” si fa il punto con le due guide Federico e Isabella, uniti nel lavoro e nella vita dalla passione per l’avventura.

Balboa - Federico - Isabella - Mamo

Assieme decidiamo di discendere il torrente Artogna.
Muta di 5 millimetri, caschetto, moschettoni, corda, imbracatura, guanti e calzari sono l’attrezzatura necessaria per la pratica del canyoning.
Una canna telescopica (meglio se teleregolabile) in tubo di protezione, una scatoletta con una selezione accurata di mosche secche e sommerse, un mulinello e un muletto di riserva, qualche filo, maschera e boccaglio sono l’occorrente per questa pesca estrema.
Infine macchina fotografica, rigorosamente waterproof, per immortalare l’avventura.
Tutto sulle spalle: Mamo ha optato per un leggero gilet da pesca da battaglia mentre Balboa (più saggiamente) per un capiente marsupio semiimpermeabile.
Dopo non più di 15 minuti di auto raggiungiamo il punto di partenza dal quale, a piedi, si incomincia la risalita costeggiando il torrente a mezza costa.

scorcio dell’Artogna

L’Artogna è un torrente splendido. Visto dall’alto lo è ancora di più. Spettacolari forre si alternano a profondi orridi e gole. Cascate altissime invece si gettano nel vuoto come spade di spruzzi.
Federico e Isabella ci indicano, a malapena visibile perché nascosta tra la fitta vegetazione, la cascata del Tinaccio di ben 47 metri, che rappresenta la calata più alta di tutti i torrenti della Valsesia.

Le nostre guide, come due veri stambecchi, si arrampicano senza problemi. Noi due non siamo così agili. Talvolta arranchiamo ma ce la caviamo con dignità.

arrampicata con muta di 5 millimetri, e Balboa leggermente “umido”

Dopo quasi un ora di cammino si arriva al tratto prescelto per incominciare la discesa. Scendiamo lungo la scarpata e raggiungiamo il greto del torrente nell’unico tratto accessibile.
Check up dell’attrezzatura, regoliamo gli imbrachi e….. via nella corrente, discendendo a velocità sostenuta uno scivolo naturale che termina con un tuffo di qualche metro in un laghetto d’acqua cristallina circondato da ripide pareti di roccia.

Mamo sul primo toboga

La natura è alla sua essenza. L’Artogna è all’altezza della sua fama. Lo chiamano il torrente “assassino” per qualche incidente avvenuto in passato che non ha lasciato scampo. E’ un corso d’acqua che và affrontato con assoluta cautela e attenzione. Le sue sponde sono ripide e infide. Le rocce scivolose.

Mamo si cala con la corda….


…. e via in toboga)

Ci incanaliamo in una stretta gola e questa volta anziché tuffarci nella pozza successiva, armiamo le canne e incominciamo a pescare. Balboa a secca. Mamo a ninfa. Niente.

Balboa in pesca

Scendiamo alla buca successiva dopo una calata con corda di 15 metri. Ancora niente. Di buca in buca si arma e si lancia, ma non catturiamo un pesce. Mamo indossa la maschera ed esplora il fondale.

Mamo in esplorazione subacquea

Qualche piccola trotella a mezz’acqua e una bella fario inchiodata sul fondo ad almeno tre metri di profondità ci fanno acquistare fiducia. Il pesce è presente. Pochi esemplari ma le trote ci sono.

un paio di trotelle inchiodate sul fondo

Si continua provando a secca, a ninfa e a streamer.

Mamo in azione

Peschiamo in ogni buca e giro d’acqua. E’ emozionante alternare continuamente tuffi, calate con corda, scivolate in toboga naturali...

...a lanci con pose delicate in tratti d’acqua dove quasi sicuramente mai prima d’ora è stata posata, come dice l’amico Piero, una piuma.
Bello, affascinante e divertente. Peccato che però dopo oltre cinque ore non abbiamo ferrato nemmeno un pesce.
Ultimi tentativi in un tratto all’uscita di una gola raggiunta con calata di almeno 10 metri. Anche qui nulla.

Mamo è quel puntino in mezzo con caschetto giallo

Terminiamo la nostra spedizione con il buio, ben oltre le 9 di sera, con un bilancio di pesca rappresentato dal classico cappotto. In ogni caso l’amarezza per essere rimasti all’asciutto è parzialmente compensata dalla soddisfazione per l’affascinante esperienza in un contesto ambientale che non avrebbe potuto essere scoperto e vissuto se non con corde, moschettoni, muta ed imbrachi.
Però non siamo appagati. Abbiamo lo stesso pensiero. Non si può chiudere questa affascinante avventura di pesca estrema senza catture.
Ci basta un’ occhiata. Ormai ci conosciamo bene e ci capiamo al volo…..e immediatamente decidiamo di programmare una ulteriore “zampata”, il lunedì successivo.
Quando arriviamo al centro Eddyline nel primo pomeriggio, Federico è già pronto con tutta l’attrezzatura da canyoning.
Per quanto riguarda quella da pesca, grazie alla precedente esperienza, abbiamo apportato alcune varianti: mosche ridotte al minimo, niente mulinello di riserva, niente tubi di protezione delle canne. In aggiunta una cuffia di neoprene, un puntale antiurto per il cimino ed una custodia antiurto per il mulinello. Canna sempre in mano e pronta per essere regolata e allungata. La mosca già montata e fissata sul primo anello.

Balboa si lascia cullare dalle acque

Decidiamo questa volta di discendere il Sorba, corso d’acqua non impervio come l’Artogna ma altrettanto affascinante.

una piscina naturale del Sorba

Presenta meno scivoli naturali ma più cascate da affrontare con tuffi o con calate con la corda.

Mamo in calata, sparisce in una gola

Raggiungiamo il nostro torrente in pochi minuti di macchina. Parcheggiamo, controlliamo l’attrezzatura e incominciamo la discesa.

e anche Mamo si lascia trasportare dalla corrente

Nutriamo grosse aspettative. Si comincia subito a testare l’acqua e Balboa, con la coda dell’occhio, intravede una timida bollata. C’è una discreta schiusa di Ecdyonuridi che lo induce a montare una generosa parachute, anzi per meglio dire, la sua solita Epeorus.

Si apposta dietro un grosso sasso al termine di una lama e lancia sulla bollata da parecchi metri di distanza per non essere visto.
La mosca scende, scende e……la trota parte all’attacco. Balboa ferra ma la trota si punge e basta. Una smorfia di delusione solca il viso di Balboa che a stento trattiene un’ imprecazione.
Si ricomincia. Un altro lancio preciso e delicato da posizione nascosta e finalmente una trotella dalla livrea perfetta, rimane agganciata.

Il ghiaccio è finalmente rotto !
Dopo qualche minuto anche Mamo ha in canna il primo pesce. Una fario di non più di 20 cm ma, pescata in queste condizioni estreme, la soddisfazione è davvero enorme.

Tra una calata, un tuffo...


la sequenza “impressionante” del tuffo di Mamo-Dibiasi

...e un tratto di parete percorso con i moschettoni agganciati alla corda di scorrimento...

…bhè, certo che il posteriore di Balboa pesa un bel po’ !!

...le catture si susseguono. Sia a secca che a ninfa. Ovviamente la taglia è modesta. Le pinne e la livrea sono però perfette. Ne ferriamo una mezza dozzina a testa ma, pescando senza ardiglione, qualcuna ci sfugge.

Ancora una volta terminiamo la giornata con il buio. Esausti. Ma questa volta totalmente appagati.

Balboa e Mamo

Una succulenta bistecca dall’amico Alberto del campeggio “il Gatto e la Volpe” chiude una giornata memorabile e una esperienza di pesca che rimarrà per sempre impressa nella nostra memoria.

INDIRIZZI UTILI:

www.eddyline.it

www.cadalcros.it

Valerio Santagostino


© PIPAM.org

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